La prassi dei fori fallimentari italiani, salvo alcune eccezioni che peraltro fanno scuola come quelli di Roma e non ultimo Bologna, del quale ultimo non mancherò di fare cenno, in tema di chiusura anticipata del fallimento di cui all’articolo 118 terzo comma L. F., non prevede affatto che ciò avvenga mediante lo strumento giuridico del trust.
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1) Chiusura anticipata del fallimento dopo la Riforma
In vero, la questione della chiusura cd anticipata merita essere valutata alla luce tanto delle novelle di riforma della Legge Fallimentare segnatamente l’art. 104/ter L.F., che impone al curatore l’obbligo di presentazione del piano di liquidazione entro 60 gg. dalla accettazione di nomina ed un termine massimo di 180 gg., dalla sua approvazione, per il compimento di essa, quanto del rischio di cui agli effetti della Legge 24 marzo 2001, n. 89, a tutti nota come Legge Pinto, quanto ancora dei possibili crediti di lunga riscossione presenti nell’attivo di massa per tale intendendo dire sia quelli fiscali, per i quali occorre richiedere il rimborso sul finale di procedura, sia quelli rivenienti da giudizi pendenti per i quali occorre attendere l’esito dei diversi gradi di giudizio e, dunque il passaggio in giudicato della sentenza definitiva.
Non è peregrino pensare che vi possono ricorrere alcune situazioni per le quali lo stato passivo sia stato pubblicato, l’attivo di massa sia stato accertato e liquidato salvo i crediti tributari, ossia quelli da IVA e da ritenuta di acconto per il quale ultimo occorre necessariamente attendere la fine della procedura per l’inoltro del rimborso il quale, per sua stessa natura, si preannuncia di lungo periodo, e, in fine, per quei crediti di fonte giudiziaria, ossia di revocazione ancora pendenti ma che si preannunciano favorevoli specie quelli nei quali gli inferiori gradi di giudizio siano stati vittoriosi per la curatela.
Ed allora, attendere il trascorrere del tempo senza ulteriori attività liquidatorie da svolgere sarebbe non solo inopportuno, e tanto per la cattiva reputazione che si andrebbe a maturare in ambito europeo al cospetto della violazione della ragionevole durata dei giusti processi, ma, dannoso per l’erario, alla luce dell’esborso di somme rimediali a cui sarebbe sottoposto all’esito della chiusura del fallimento specie quando essa giunga trascorsi i sei anni quale periodo ragionevole di durata del giusto processo fallimentare e, in fine, pregiudizievole per il curatore il quale sarebbe passibile di revoca allorché non rispetti i tempi di realizzazione del piano ancorché suscettibili di proroga debitamente motivata.
A suffragio di quanto fin qui enunciato, segnatamente in tema di chiusura anticipata, val la pena rammentare che la Legge 6 agosto 2015 n. 132 ha introdotto una modifica all’articolo 118 L. F. disciplinando di tal guisa la fattispecie in esame, ma, senza aver ricevuto apprezzabili riscontri da parte di chi dovrebbe porla in essere ossia i tribunali fallimentari italiani su impulso dei curatori fallimentari unica figura questa titolata a richiedere al Tribunale, all’esito di una valutazione complessiva di merito, l’applicazione utile della chiusura anticipata di cui al richiamato articolo in costanza di giudizi e crediti tributari pendenti e prospettarne puntualmente la possibile soluzione.
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2) Casi di chiusura del Fallimento: art. 118 L.F.
Preliminarmente osserviamo il portato testuale dell’Articolo 118 “Casi di chiusura” della Legge Fallimentare che cosi suona:
“Salvo quanto disposto nella sezione seguente per il caso di concordato, la procedura di fallimento si chiude:
1) se nel termine stabilito nella sentenza dichiarativa di fallimento non sono state proposte domande di ammissione al passivo;
2) quando, anche prima che sia compiuta la ripartizione finale dell'attivo, le ripartizioni ai creditori raggiungono l'intero ammontare dei crediti ammessi, o questi sono in altro modo estinti e sono pagati tutti i debiti e le spese da soddisfare in prededuzione;
3) quando è compiuta la ripartizione finale dell'attivo;
4) quando nel corso della procedura si accerta che la sua prosecuzione non consente di soddisfare, neppure in parte, i creditori concorsuali, nè i crediti prededucibili e le spese di procedura.
Tale circostanza può essere, accertata con la relazione o con i successivi rapporti riepilogativi di cui all'articolo 33 L.F.
Nei casi di chiusura di cui ai numeri 3) e 4), ove si tratti di fallimento di società il curatore ne chiede la cancellazione dal registro delle imprese.
La chiusura della procedura di fallimento della società nei casi di cui ai numeri 1) e 2) determina anche la chiusura della procedura estesa ai soci ai sensi dell'articolo 147, salvo che nei confronti del socio non sia stata aperta una procedura di fallimento come imprenditore individuale.
La chiusura della procedura di fallimento nel caso di cui al n. 3) non è impedita dalla pendenza di giudizi, rispetto ai quali il curatore può mantenere la legittimazione processuale, anche nei successivi stati e gradi del giudizio, ai sensi dell'articolo 43. In deroga all'articolo 35, anche le rinunzie alle liti e le transazioni sono autorizzate dal giudice delegato.
Le somme necessarie per spese future ed eventuali oneri relativi ai giudizi pendenti, nonché le somme ricevute dal curatore per effetto di provvedimenti provvisoriamente esecutivi e non ancora passati in giudicato, sono trattenute dal curatore secondo quanto previsto dall'articolo 117, comma secondo
Dopo la chiusura della procedura di fallimento, le somme ricevute dal curatore per effetto di provvedimenti definitivi e gli eventuali residui degli accantonamenti sono fatti oggetto di riparto supplementare fra i creditori secondo le modalità disposte dal tribunale con il decreto di cui all'articolo 119.
In relazione alle eventuali sopravvenienze attive derivanti dai giudizi pendenti non si fa luogo a riapertura del fallimento.
Qualora alla conclusione dei giudizi pendenti consegua, per effetto di riparti, il venir meno dell'impedimento all'esdebitazione di cui al comma secondo dell'articolo 142, il debitore può chiedere l'esdebitazione nell'anno successivo al riparto che lo ha determinato."
Ai fini di un più agile percorso alla comprensione del fenomeno si ritiene utile rassegnare qui innanzi i possibili modi di chiusura anticipata di un fallimento come quello qui delineato, ossia in attesa di riscuotere il credito tributario e quello riveniente all’esito dalla pronuncia della Corte di Cassazione in ordine a un giudizio per revocazione pendente dopo che i due inferiori gradi siano stati favorevoli alla curatela.
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3) Abbandono o rinunzia o cessione del credito.
In vero, le prime due opzioni, implicano, una volta chiusa la procedura, che il credito oggetto di abbandono, o il bene rinunciato, riemerga in pancia al fallito, tornato in bonis, con la naturale conseguenza che potrebbe avere luogo la riapertura del fallimento a mente dell’Art. 121 L. F. o che i beni, cosi riemersi, divengano aggredibili da chiunque creditore, del di lui già fallito, a dispetto del ceto creditorio rimasto insoddisfatto.
La terza opzione, ossia quella della cessione del credito, appare conveniente solo per il cessionario il quale acquisisce, normalmente, la massa per un corrispettivo di modica percentuale sull’importo oggetto di cessione non superiore al 20 o nella migliore delle ipotesi al 30% incoraggiando inevitabilmente intenti speculativi i quali non mancano di esistere intorno al fenomeno dei crediti fallimentari. Anche tale ipotesi unitamente alle altre due realizza in astratto una violazione dei diritti del ceto creditorio.
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4) Ultrattività del curatore fallimentare ex Art. 118 quint’ultimo periodo L. F.
Taluni tribunali fallimentari hanno ritenuto di affrontare la vicenda argomentando che le varie ipotesi di ultrattività degli organi della procedura fallimentare affermerebbero un principio generale immanente nel sistema normativo concorsuale italiano ciò in quanto funzionale alla miglior attuazione delle prerogative liquidatorie della procedura medesima le quali ipotesi non sono da ritenersi tassative ma suscettibili di essere applicate in via analogica giusta quella prevista per i crediti sotto condizione sospensiva di cui all’art.117 II c. L. F..
Tali delineate soluzioni, in vero, destano criticità e tanto in quanto la ultrattività del curatore, sebbene rappresenti in astratto un principio generale della legge fallimentare tante volte si tratti di attuare al meglio le finalità liquidatorie della procedura ricorrendo all’analogia legis, non appare convincente il richiamo dell’art.117 II c. L. F. la cui ratio è quella di tutelare i creditori nella sola ipotesi di condizione sospensiva la quale, al momento del riparto finale, non risulti avverata né mancata, pertanto la tutela di costoro si attua, appunto, accantonando la liquidità necessaria a soddisfarli e demandando al curatore il compito di ripartire detta liquidità agli aventi diritto allorché si avveri, o manchi, la condizione a procedura chiusa. Non va sottaciuto, in vero, che detta soluzione non si avvale di quella separazione patrimoniale opportuna la quale consente di evitare, a seguito dell’intervenuta chiusura del fallimento, l’apprensione o il ritorno in pancia del fallito, tornato in bonis, dell’attivo accantonato.
Pertanto, anche questa seconda soluzione non appare ben condivisibile alla luce tanto delle criticità appena prospettate, quanto quelle ulteriori per le quali il curatore fallimentare, nella sua spiegata qualità di curatore di ultrattività, non risulta ben inquadrato giuridicamente. Quindi, dovendo escludere quello antecedente, terminato con il decreto di chiusura il quale pone termine al fallimento e, dunque, agli organi fallimentari che di esso sono parte integrante ed essenziale, ancorché egli mantenga la soggettivazione passiva per i giudizi pendenti, non è dato conoscere a quale figura giuridica esso sia riconducibile.
5) L’utilizzo del trust per la chiusura anticipata della procedura fallimentare
Esaminiamo ora l’ipotesi, ad avviso di chi scrive più congeniale, del “trust solvendi causa” ai fini di una chiusura anticipata del fallimento ex Art. 118, 3° C. L.F. allorché vi siano crediti fiscali, ma anche giudizi pendenti.
Tale delineata terza ipotesi soccorre bene e meglio più di quanto non lo facciano quelle innanzi enunciate. In fatti, esso, offre molteplici vantaggi anzitutto per la gratuità della cessione dei crediti e dei giudizi al trust funzionale ad attuare al meglio l’interesse del ceto creditorio beneficiario del trust. Tale cessione gratuita, per mero tuziorismo, avverrà pro soluto e con la esclusione anche della garanzia del nomen verum e del nomen bonum in deroga all’art. 1266 2° C. C.:
a) In primo luogo, la soluzione in esame consente ineluttabilmente un maggior realizzo di attivo al cospetto della cessione del credito di massa ad una società finanziaria per un prezzo da realizzo irrisorio;
b) In secondo luogo tale soluzione implica una cessione di credito per la quale l’obbligo della garanzia al cessionario del nomen verum (esistenza del credito) e del nomen bonum (solvibilità del debitore ceduto) è superato dalla natura stessa delle parti in causa. Essa, peraltro, al cospetto della cessione del credito, è idonea ad evitare che il curatore possa essere chiamato a rispondere al cospetto del cessionario ove il debitore ceduto, ossia l’Amministrazione Finanziaria per il credito tributario, e il soggetto obbligato per il giudizio pendente, per i motivi più vari, negasse il credito;
c) In terzo luogo, la soluzione del trust consente di tramutare la segregazione patrimoniale tipica del fallimento in segregazione patrimoniale tipica dell’istituto anglosassone sicché la tutela del ceto creditorio è mantenuta senza soluzione di continuità, e, impedisce vieppiù il ritorno in pancia al fallito, ritornato in bonis, dei crediti in questione esposti di tal guisa all’esecuzione individuale dei suoi creditori
La soluzione del trust implica, in fine, taluni costi sia per la istituzione e registrazione del trust sia per il compenso al trustee del trust -potendoli accantonare in un fondo apposito- analogamente a quanto accade tanto nella soluzione della proroga delle funzioni del curatore quanto nella soluzione della cessione di credito ad una società finanziaria.
Giova rammentare, a conforto della enunciazione in esame, che, all’esito dei termini posti dalla legge, tanto per l’impugnazione del Decreto del Giudice Delegato con il quale dichiara esecutivo il piano di riparto finale nei modi qui espressi, quanto per l’impugnazione del Decreto del Tribunale con il quale dichiara chiusa la procedura all’esito dell’istituzione del trust , tali statuizioni giudiziali, divenute definitive, assorbono i profili di tutela dei soggetti coinvolti e, dunque, sono garantiti dalla tenuta del trust a tutti noto essere granitica laddove non ricorrano interposizioni fittizie in frode ai creditori del disponente, che nel caso di specie, tale eventualità risulta in radice scongiurata.
Remota, se non inesistente, appare mentre l’eventualità di un’impugnazione da parte dei creditori concorsuali dal momento che tale soluzione non li danneggia, ma, al contrario, conferisce un addendum nella migliore delle ipotesi e mai un minus nella peggiore delle stesse ipotesi.
3.2 I precedenti
Si segnalano, qui in questa sede, tre precedenti di chiusura anticipata del fallimento mediante l’istituto del trust, rispettivamente il Decreto del Giudice Delegato del Tribunale fallimentare di Roma del 4 aprile 2003 e del Tribunale fallimentare di Roma 5 marzo 2004 , mentre il terzo, recente, del Tribunale fallimentare di Bologna del 2017 .
Val la pena far notare come i Tribunali fallimentari di Roma, dei due casi storici supra richiamati, siano stati antesignani all’introduzione dell’istituto anglosassone in tale ambito peraltro in epoca anteriforma della legge fallimentare, sicchè farebbe pensare che il legislatore delle novelle di modifica, susseguitesi nel tempo, sia stato da costoro ispirato.
Come provvido e attuale appare il Tribunale di Bologna con il caso del 2017, del quale non mancherò di enunciare la pratica attuazione in una prossima occasione, con il quale ha inteso ridare vita ad una prassi mai decollata e dunque caduta in sonno attese le controverse opinioni dottrinali e scarse produzioni giurisprudenziale dell’epoca in tema di trust, oggi, sapientemente emancipate al punto da registrare copiosa giurisprudenza tanto in ambito fiscale quanto in ambito civilistico segno evidente di un uso massivo da parte dell’autonomia privata e dunque istituto tipico del nostro ordinamento alla luce della Legge di ratifica della Convenzione de l’Aja sul riconoscimento del trust.