Come affermato dalla Corte di Cassazione, l’iscrizione nell’anagrafe dei soggetti residenti in altro Stato non è un elemento determinante per escludere la residenza fiscale nel nostro Paese. Ne consegue, quindi, che l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi con superamento delle soglie di punibilità configura il reato tributario di “Omessa dichiarazione”.
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1) AIRE - Anagrafe degli italiani residenti all’estero
Come si può leggere anche sul sito internet del Ministero degli Esteri, l’anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) è stata istituita nel 1988 ed il relativo registro contiene i dati dei cittadini italiani che risiedono all’estero per un periodo superiore ai 12 mesi.
Questa particolare anagrafe viene gestita dai Comuni sulla base dei dati e delle informazioni provenienti dalle Rappresentanza consolari all’estero.
L’iscrizione nel registro dell’AIRE viene effettuata dai cittadini che trasferiscono la propria residenza all’estero (per periodi appunto superiori ai predetti 12 mesi) attraverso una dichiarazione presentata all’Ufficio consolare competente per territorio entro 90 giorni dal trasferimento della residenza. Ciò comporta di conseguenza la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente del Comune di provenienza.
Su questo punto la recente circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza (“Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali”) ha specificato però che la cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente determinata dall’iscrizione all’AIRE non costituisce un elemento determinante per escludere il domicilio o la residenza nello Stato, atteso che questi possono essere desunti con ogni mezzo di prova, anche contrastanti con quanto risulta dai registri anagrafici.
Il documento di prassi della Guardia di Finanza aggiunge che mentre l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente rappresenta, da sola, il presupposto per essere considerati residenti in Italia, l’iscrizione all’AIRE costituisce invece la condizione necessaria, ma non sufficiente, per essere considerati non residenti, dovendo fare riferimento all’art. 43 del codice civile (“Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari. La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”).
Dal punto di vista fiscale, ai sensi dell’art. 2, comma 2 del TUIR tali nozioni sono alternativamente rilevanti, nel senso che per stabilire la residenza fiscale è sufficiente la ricorrenza di una sola di esse.
2) Il punto per la Cassazione - Sentenza del 21.03.2018 n. 13114
Di recente la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13114 del 21 marzo 2018, ha affrontato un ricorso presentato da un cittadino italiano residente in Svizzera al quale il Tribunale del riesame aveva confermato un sequestro preventivo per oltre 2 milioni di euro per IRPEF evasa negli anni 2011-2013.
L’accusa si basava sulle risultanze di un’indagine della Guardia di Finanza, dalla quale erano emersi una serie di elementi in base ai quali si poteva ritenere che il centro principale degli interessi del soggetto in questione, così come il fulcro della sua attività lavorativa, fossero in Italia, nonostante la residenza anagrafica in Svizzera.
I giudici di piazza Cavour hanno dapprima esaminato il concetto di residenza sul piano normativo fiscale.
In tal senso hanno ricordato come ai fini delle imposte sui redditi, l'art. 2 del T.U.I.R., secondo il quale soggetti passivi dell'imposta sono le persone fisiche sia residenti (nei confronti delle quali l'imposta si applica a tutti redditi posseduti) che non residenti nel territorio dello Stato (obbligati per i soli redditi prodotti nello Stato), considera residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile, mentre sono definiti "non residenti" coloro che non sono iscritti nelle anagrafi della popolazione residente per la maggior parte del periodo d'imposta, cioè per almeno 183 giorni (184 per gli anni bisestili) e, ai sensi del codice civile, non hanno nel territorio dello Stato italiano né il domicilio (sede principale di affari e interessi) né la residenza (dimora abituale), con l'espressa precisazione che se manca anche uno soltanto dei suddetti requisiti, il contribuente viene automaticamente considerato residente.
Ha quindi argomentato la Suprema Corte che i presupposti indicati in via alternativa ai fini dell'assoggettabilità all'imposta sui redditi sono tre, ovverosia:
- un presupposto allacciato al criterio formale, rappresentato dall'iscrizione nell'anagrafe,
- altri due presupposti che si rifanno ai due criteri fattuali costituiti dalla residenza o dal domicilio nel territorio dello Stato
Alla luce di tale conclusione e rimanendo sul solco di un precedente arresto giurisprudenziale, la Cassazione ritiene che la conseguenza dell’alternatività dei presupposti citati sia che l'iscrizione nell'anagrafe dei soggetti residenti in altro Stato non è elemento determinante per escluderne la residenza fiscale in Italia allorché si tratti di soggetto che abbia nel territorio dello Stato la sua dimora abituale ovvero il proprio domicilio, inteso come sede principale dei propri affari ed interessi economici, così come delle proprie relazioni personali, dovendo il carattere soggettivo ed elettivo della scelta dell'interessato essere a tal fine contemperato con le esigenze di tutela dell'affidamento dei terzi.
In tal senso gli ermellini fanno notare che non conduce a diversa conclusione la Convenzione tra l'Italia e la Svizzera del 1976 ratificata con L. 23 dicembre 1978, n. 943 al fine di ad evitare la doppia imposizione tra i due Stati, la quale, avendo la funzione, al pari di tutte le convenzioni bilaterali in materia, di eliminare la sovrapposizione dei sistemi fiscali nazionali onde evitare che i contribuenti subiscano un maggior carico fiscale sui redditi percepiti nell'altro Stato che verrebbero perciò assoggettati ad un duplice prelievo, non muta il concetto di residenza sul quale si fonda l'obbligo fiscale avente ad oggetto i redditi prodotti dalla persona fisica o giuridica.
Tornando al caso oggetto di ricorso, la Corte ha evidenziato come l’ordinanza impugnata abbia ritenuto che il proponente ricorso dovesse ritenersi residente in Italia sulla base del dato fattuale che egli dimori stabilmente, in conformità alla nozione civilistica di residenza, in Italia e segnatamente nella città di Ferrara, ed ha elencato una pluralità di elementi dai quali desumere che in Italia fosse anche il suo domicilio atteso che a Ferrara vi è il suo studio di design, che in Italia è titolare di plurimi conti correnti in proprio o tramite le società nelle quali è cointeressato, utilizza frequentemente in territorio italiano le carte di credito e altrettanto frequentemente percorre la rete autostradale italiana.
Aggiunge la Cassazione che anche questi dati fattuali, tra loro convergenti, non sono nstati contestati dal ricorrente, che si è piuttosto preoccupato di presentare alcuni documenti rilasciati dall'Autorità Fiscale Cantonale elvetica attestanti la sua residenza a Ginevra agli effetti della citata Convenzione italo-svizzera.
Secondo la Corte tali attestati sono tuttavia privi di rilevanza, dato che da essi non emerge l'avvenuto pagamento delle imposte in Svizzera relativamente allo stesso reddito su cui si fonda la contestazione di omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi per gli anni di imposta 2010-2013, configurante il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5 (“Omessa dichiarazione”),
Infatti soltanto la dimostrazione dell’avvenuto pagamento delle imposte elvetiche avrebbe consentito di ritenere fondata l'eccepita violazione del divieto di doppia imposizione sollevata dal ricorrente.