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FISCALITÀ INTERNAZIONALE: I COMMERCIALISTI STUDIANO LE PROSPETTIVE FUTURE

Fiscalità internazionale: i commercialisti studiano le prospettive future

Pubblicato un documento di ricerca sulla fiscalità dell’economia digitale

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Il Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti e la rispettiva Fondazione Nazionale hanno pubblicato un documento di ricerca sulla Fiscalità nell’ economia digitale cercando di dare soluzione alle problematiche emerse e tentando di immaginare possibili scenari futuri.

La globalizzazione ha sicuramente ampliato le possibilità, per consumatori e piccole imprese, di acquisire beni e servizi, a più ampio spettro, da fornitori che potenzialmente risiedono in tutti i paesi del Mondo. Tuttavia la legislazione nazionale non è ancora idonea e completa per poter seguire tutti i flussi di ricchezza che ogni giorno vengono movimentati, e da qui nasce l’esigenza di una regolamentazione sovranazionale che si occupi anche delle problematiche fiscali dei singoli paesi. Nel documento pubblicato vengono analizzate le proposte della Commissione Europea e la disciplina italiana, recentemente modificata ma ancora in attesa dei decreti attuativi e comunque, per certi aspetti, non in linea con le strade che il governo sovranazionale sta cercando di percorrere per dare risposta agli svariati problemi in tema di fiscalità.

1) Fiscalità internazionale 2018: normativa vigente

Attualmente gli istituti utilizzati nell’ambito dell’imposizione diretta nazionale sono vari:

  •  Stabile organizzazione,
  •  Ritenute alla fonte,
  •  Transfer pricing
  •  Regime CFC

e quasi tutti sono collegati ad una sorta di correttivo, frutto di una collaborazione tra diverse nazioni, atto a mitigare le situazioni di doppia imposizione. Trattati, convenzioni o altra normativa internazionale, rappresentano le fonti di strumenti, come i crediti di imposta e le esenzioni, attraverso i quali si cerca di evitare distorsioni del sistema fiscale interno. Attraverso questi strumenti si è, fino ad ora, cercato di stabilire i limiti entro cui lo stato alla fonte può tassare i non residenti operanti entro la propria giurisdizione e lo stato di residenza, ammettendo l’utilizzo dello strumento prescelto, non tassi nuovamente gli stessi redditi.

Tuttavia, in passato, una multinazionale doveva necessariamente stabilire una filiale in ciascun Paese in cui intendeva svolgere i propri affari; ad oggi invece, non si sente più la necessità di un punto di riferimento fisico, poiché ciò che conta davvero è la presenza digitale nel paese in cui avviene il consumo dei servizi. Ecco che il concetto di stabile organizzazione risulta essere inadeguato. È cambiato il modo di fare acquisti, di raggiungere i consumatori e anche di fare pubblicità dal momento che, attraverso i social network, le app ed internet in generale, questa è diventata più mirata e diretta agli interessi, già ben definiti e conosciuti, di ogni singolo consumatore.

Per quanto riguarda invece l’imposizione indiretta, sembra che la tassazione nel luogo del consumo non risulti affatto inadeguata ai fenomeni della globalizzazione, delocalizzazione e dematerializzazione.
L’ Italia, cosi come altre nazioni, ha anticipato gli interventi dell’unione Europea, con la legge di Bilancio 2018 e con alcuni documenti di prassi. Sarà quindi necessario un successivo coordinamento con le volontà sovranazionali ma è da apprezzare lo sforzo che è stato fatto in materia di stabile organizzazione e di imposizione di alcuni servizi digitali. In particolare, per quanto riguarda le stabili organizzazioni, è stato modificato l’art. 162 del Tuir introducendo, nel concetto di stabile organizzazione, il riferimento ad “una significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato costruita in modo tale da non fare risultare una sua consistenza fisica nel territorio stesso”. 

In merito all’imposizione sulle transazioni digitali invece, mancano i decreti attuativi; ad oggi è chiaro solo il fatto che si tratti di un’imposizione di natura indiretta e che quindi, ove possibile, rimanderà alla disciplina IVA ma molte sono le perplessità che dovranno essere chiarite. In fine, attraverso risposte non pubbliche, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in merito all’imposizione e all’obbligo di monitoraggio delle criptovalute.

2) Prospettive europee fiscalità internazionale

Nel documento di ricerca pubblicato dai Dottori Commercialisti, oltre all’inquadramento generale del problema e all’ approccio che il nostro legislatore sta avendo, sono state analizzate le proposte di Direttiva che la Commissione Europea ha presentato in data 21 marzo 2018.  I nuovi concetti introdotti sono quelli di:

  •  Presenza Digitale Significativa
  •  Web tax

L’approccio dato è completamente innovativo poiché statuisce il passaggio dai fattori materiali e umani che costituiscono un’impresa tradizionale al concetto di interfaccia digitale che consente la fruizione di servizi digitali e, soprattutto, l’accesso da parte degli utenti indipendentemente dal posto in cui questi si trovino in quel momento. È chiaro ormai che il valore prodotto dai servizi è generato dagli utenti che partecipano ad un’attività digitale, attraverso l’accesso, la navigazione e l’utilizzo di applicazioni, e questo valore non dipende necessariamente, nella maggior parte dei casi, dal fatto che gli utenti paghino o meno per accedere all’interfaccia digitale. I ricavi generati dall’economia digitale sono frutto di attività immateriali, formatesi grazie alla raccolta dei dati degli utenti.

3) Fiscalità internazionale 2018: prima proposta Commissione Europea

La prima proposta di Direttiva (147) si basa sul concetto di Presenza Digitale Significativa (PDS) e sulla definizione di Servizi Digitali. Questi ultimi rappresentano la condizione sine qua non affinché la disciplina prevista si possa applicare; qualora si fosse davanti a servizi non digitali questi non potrebbero essere presi in considerazione per la tassazione in esame. Il Servizio digitale è un “servizio fornito attraverso internet o attraverso una rete elettronica, la cui natura rende la prestazione essenzialmente automatizzata e richiede un intervento umano minimo”. L’esempio fornito nel documento di ricerca è utile a chiarire il concetto in esame:

Servizio offerto Qualifica di servizio digitale
Dare accesso, dietro pagamento di un corrispettivo, ad un mercato digitale per l’acquisto e la vendita di automobili Si
Vendita di un’autovettura attraverso un sito internet No

Affinché si possa parlare di PDS è necessario quindi che questa offra servizi digitali ma devono in realtà essere soddisfatte anche ulteriori condizioni in merito al fatturato, al numero di utenti e al numero di contratti commerciali.

L’imposizione proposta prevede che vengano tassati gli utili prodotti dalla PDS esclusivamente secondo l’ordinaria tassazione prevista per le imprese del Paese in cui questi vengono prodotti. In tal modo l’attribuzione del profitto avverrebbe sostanzialmente secondo le già esistenti regole previste per la stabile organizzazione ma la differenza sarà rappresentata dal fatto che si tratti di un “profitto digitale” e dal metodo utilizzato per attribuirlo (attualmente si parla di Profit Split ma è consentito utilizzare altro metodo tra quelli considerati idonei a livello internazionale purché il metodo scelto risulti più appropriato).

4) Fiscalità internazionale 2018: seconda proposta Commissione Europea

La seconda proposta di Direttiva (148) consiste invece nell’introduzione di un’Imposta sui Servizi Digitali (ISD) da applicare sui ricavi derivanti da servizi digitali, forniti da società di grandi dimensioni, nella misura del 3%.  Il limite subito evidenziato, di questa proposta, è che tasserebbe esclusivamente le imprese di grandi dimensioni, ovvero quelle che abbiano superato entrambi i limiti:

  •  Ricavi mondiali superiori a 750 milioni di euro
  •  Ricavi imponibili nell’Unione Europea superiori a 50 milioni di euro.

Quest’ultimi verrebbero assoggettati all’imposizione dello Stato membro in cui si trovano gli utenti del servizio che li ha generati. Ovviamente, il ricavo di cui si parla non è quello direttamente finanziato dagli utenti ma è quello che deriva dalla pubblicità collocata sui siti, dalla trasmissione dei dati raccolti durante la navigazione, o semplicemente dall’accesso ad un sito.

Lo scenario che si prospetta è certamente molto interessante e, nell’attesa che si delinei una disciplina  Europea definitiva, altrettanto intriganti sono i tentativi che i singoli stati membri stanno adoperando  per inseguire le nuove dinamiche del mercato digitale.

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