Da mesi si dibatte sulle possibili forme di gestioni del Welfare aziendale. Cosa inserire? Cosa togliere? Come redigere un piano di Welfare? Da un punto di vista strettamente fiscale però, ancora oggi, abbiamo molte perplessità.
L’Agenzia delle Entrate è intervenuta a tal proposito, in risposta all’Interpello del 28 luglio 2017 n. 904/791, dove ha affermato che il “credito Welfare” non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente anche se il quantum del credito welfare possa risultare diversificato tra i dipendenti in relazione al raggiungimento dei risultati.
Per credito Welfare definiamo l’insieme dei servizi che vengono offerti al personale ovvero il paniere dei benefit offerti.
Nello specifico il quesito posto nell’interpello era il seguente:
La società istante che si occupa di formazione e servizi al lavoro chiedeva di sapere quale fosse il regime fiscale corretto da applicare al proprio “Piano Welfare”, così strutturato:
- durata biennale,
- riconosciuto a tutti i dipendenti,
- consistente nell’assegnazione di un budget spesa figurativo c.d. “Credito Welfare” pari ad un importo massimo di euro 1.500,00 annui, a carico del datore di lavoro e non rimborsabile,
- realizzato mediante il ricorso e la messa a disposizione ai dipendenti di una specifica piattaforma web personalizzabile.
Inoltre, il “Credito Welfare”, di uguale valore di partenza - 1.500,00 euro – poteva, da ultimo, risultare diversificato tra i dipendenti in funzione del raggiungimento di determinati obiettivi individuali e aziendali [ come si legge testualmente, nel quesito strutturato dalla società istante :“In particolare, per il primo anno di vigenza del Piano welfare, si intende assegnare a ciascun dipendente tale importo al raggiungimento del 100 per cento di un determinato obiettivo individuale precisando che la somma verrebbe proporzionalmente ridotta nell’ipotesi di raggiungimento di un risultato inferiore. Con riferimento, invece, al secondo anno di vigenza del Piano Welfare, si intende assegnare a ciascun dipendente il credito di 1.500,00 euro al raggiungimento del 100 per cento di un determinato obiettivo aziendale (di livello di fatturato annuo atteso) con la precisazione che, in mancanza e comunque entro uno scarto massimo al ribasso del 10 per cento, tale importo verrebbe rapporto ad una determinata percentuale (nello specifico il 3 per cento) della RAL individuale”]
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tratto da "Rivista ufficiale del Consiglio Provinciale dei Consulenti del Lavoro di Roma - Numero 8
Sul tema vedi anche "Welfare aziendale: cosa si intende?"
1) Welfare aziendale: la risposta favorevole dell'Agenzia
Illustrato il quesito, la Società istante, anticipava all’Agenzia delle Entrate la propria posizione in merito al regime fiscale applicabile al proprio “Piano Welfare”:
“La società istante ritiene che, in merito alla descritta situazione, sussistano i presupposti per escludere da imposizione sul reddito di lavoro dipendente il valore dei servizi offerti alla generalità dei propri dipendenti rientranti nella fattispecie esentative di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 51 del TUIR con riferimento sia al primo che al secondo anno di vigenza del Piano Welfare. Evidenzia al riguardo che, così come previsto dalla normativa di riferimento, i benefit in esame, che non sono rivolti ad personam e non costituiscono quindi dei vantaggi solo per alcuni e ben individuati dipendenti, non sarebbero in ogni caso neanche convertibili in denaro nel caso di totale o parziale mancato loro utilizzo.
La Direzione Regionale ha ribadito che il comma 1 dell’art. 51 TUIR stabilisce l’onnicomprensività del concetto di reddito di lavoro dipendente e, quindi, la totale imponibilità di tutto ciò che il lavoratore riceve e, nei commi successivi, alcune specifiche deroghe al principio della totale imponibilità, elencando le componenti che non concorrono a formare il reddito o vi concorrono solo in parte.
Partendo da questo principio non è più necessario, ai fini dell’assoggettamento a contribuzione di un emolumento, individuare la sussistenza o meno del nesso sinallagmatico tra retribuzione e prestazione di lavoro.
Il comma 2 dell’art. 51 reca invece l’elencazione tassativa delle somme e dei valori che, benché percepiti in relazione al rapporto di lavoro dipendente, non costituiscono reddito di lavoro dipendente né ai fini fiscali né ai fini contributivi. Tra queste voci rientrano, come precisa la Direzione Regionale, “le opere e i servizi messi a disposizione dei dipendenti e dei loro familiari tramite strutture esterne all’azienda purché i dipendenti medesimi risultino estranei al rapporto che intercorre tra l’azienda e l’effettivo prestatore del servizio e, in particolare, non risultino beneficiari dei pagamenti effettuati dalla propria azienda in relazione alla fornitura del servizio”.
Per questo, la Direzione Regionale ha ritenuto che il “Piano Welfare” così articolato non fosse in contrasto con le norme agevolative e, quindi ha, considerato, i valori dei servizi offerti ai dipendenti come non inclusi nel reddito da lavoro dipendente e quindi rientranti nelle fattispecie di esenzione di cui ai co. 2 e 3 art. 51 TUIR basando, quindi, la sua risposta in relazione al principio della generalità e della non rimborsabilità del Welfare.
Anche sulla base di quest’ultimo parere , dunque il percorso per l’utilizzo diffuso degli strumenti di Welfare si sta man mano velocizzando e arricchendo di numerosi spunti.
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