Il credito d’imposta esposto e non utilizzato dalla S.a.s. estinta spetta al socio che ha proseguito l'attività di impresa in forma individuale. A ribadirlo la Suprema Corte con Ordinanza n. 22565 della Sezione Tributaria della Corte di cassazione, pubblicata il 27/09/2017.
IL CASO
La vicenda origina dall’impugnazione di una cartella esattoriale relativa al pagamento della maggior imposta Irap, IVA e ritenute alla fonte. In particolare, al contribuente si negava la spettanza di credito di imposta poiché riferibile ad una società estinta, di cui era stato socio.
A giudizio dell’Amministrazione non poteva configurarsi giuridicamente la successione tra la società stessa ed il contribuente persona fisica, benchè egli si fosse dichiarato continuatore della società nella dichiarazione dei redditi dopo esserne diventato socio unico. La commissione tributaria provinciale di Genova rigettava il ricorso.
Diverso il verdetto in appello; difatti, la CTR della Liguria lo accoglieva, ritenendo ammissibile la trasformazione di una società di persone in impresa individuale, conseguentemente il contribuente aveva titolo per beneficiare del credito di imposta dichiarato dalla società estinta.
Avverso la sentenza della CTR l'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo, ossia violazione e falsa applicazione dell’art. 2498 c.c..
Nel caso di specie, gli Ermellini non condividono l’assunto erariale confermando la statuizione di merito; in particolare, la Corte ricorda che lo scioglimento della società in accomandita semplice, a norma dell'art. 2323 c.c., si determina quando rimangono solo soci accomandatari o soci accomandanti, semprechè nel termine di sei mesi non sia stato sostituito il socio che è venuto meno.
(...)
A supporto della decisione, inoltre, richiama il principio di diritto secondo cui “nel caso di cessione d'azienda, il credito d'imposta per la parte già maturata, ma non ancora utilizzata dal cedente l'azienda, è trasferibile all'impresa - qualora quest'ultima prosegua la stessa attività - succeduta nella titolarità della stessa azienda, verificandosi una continuità anche fiscale tra le due aziende, come previsto dall'art. 2559 c.c. e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 58 "(cfr. Cass. n. 3342 del 12/02/2013)”; di qui il rigetto del ricorso.
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1) Trasformazione societaria e cessione d'azienda: la giurisprudenza
La trasformazione è un’operazione straordinaria con la quale un’impresa cambia la propria forma organizzativa.
- Essa non incide sui beni e sulla situazione patrimoniale: non determina alcun trasferimento di beni, dato che l’impresa continua ad esistere, anche se in forma giuridica diversa.
- La trasformazione non è quindi una vicenda estintiva della società.
La giurisprudenza, infatti, ritiene che la trasformazione di una società da un tipo ad un altro previsto dalla legge, ancorché connotato di personalità giuridica, non si traduce nell'estinzione di un soggetto e correlativa creazione di uno nuovo in luogo di quello precedente, ma configura una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto; essa comporta in particolare soltanto una variazione di assetto e di struttura organizzativa la quale non incide sui rapporti sostanziali e processuali facenti capo alla originaria organizzazione societaria (T. Genova, Sez. VI, 16.5.2008).
Pertanto, ogni specie di trasformazione comporta soltanto il mutamento formale di un'organizzazione societaria già esistente, ma non la creazione di un nuovo ente che si distingua dal vecchio con la conseguenza che l'ente trasformato, anche nell'ipotesi in cui consegua la personalità giuridica di cui prima era sprovvisto, non si estingue per rinascere sotto altra forma né dà luogo ad un nuovo centro d'imputazione di rapporti giuridici pendenti, ma sopravvive alla vicenda modificativa, senza soluzione di continuità e senza perdere la sua identità soggettiva. Tutto il patrimonio della società trasformata deve essere considerato della medesima società - sia pure diversa nel "tipo" e nella correlata denominazione sociale - quale risulta, appunto, dalla trasformazione.
In particolare la società, risultante dalla trasformazione, assume nel processo la medesima posizione di parte della società trasformata. Tuttavia la diversità di tipo e quella correlata di denominazione sociale non dispensa la società risultante dalla trasformazione, quantomeno nel caso di contestazione della controparte, dall'onere di provare che, risultando dalla trasformazione suddetta, si identifica con la società trasformata, nonostante le ricordate diversità (C. 17066/2003; C. 13434/2002; C. 5963/2001; C. 10254/2000; C. 3638/1998; C. 3713/1992; T. Napoli, Sez. lavoro, 3.2.2006).
(...)
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