In termini generali i piani di azionariato ai fini incentivanti prevedono per i dipendenti l’attribuzione di diritti di opzione (stock options) che danno il diritto ad acquistare un determinato numero di azioni in un certo intervallo temporale ad un determinato prezzo prefissato (strike price).
I diritti di opzione possono godere di un trattamento fiscale differente a seconda che si tratti di opzioni trasferibili o non trasferibili. In questa sede ci occupiamo di chiarire cosa potrebbe accadere se il diritto all’esercizio delle stock options fosse trasferito dal de cuius agli eredi.
1) La tassazione dei diritti di opzione
La Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 326/E del 1997 considera le opzioni non come somme di denaro ma come valori erogati ai dipendenti e cioè “beni” dotati di un proprio valore economico.
In primis, come brevemente accennato, va considerato che i diritti di opzione possono essere cedibili o meno:
i) nel primo caso vanno assoggettati a tassazione come reddito di lavoro dipendente dal momento in cui vengono assegnati. Concorrerà a formare il reddito di lavoro dipendente il valore normale delle opzioni.
ii) Nel caso in cui risultano essere non cedibili, ovvero strumenti cartolari che non possono essere liberamente ceduti a terzi, allora non sono rilevanti ai fini fiscali in quanto privi di un valore economico.
Assumeranno invece rilevanza, solo nel momento in cui le opzioni vengono esercitate e quindi avviene l’assegnazione delle azioni, generando un reddito imponibile in capo al lavoratore; concorrerà in tal caso a formare il reddito imponibile di lavoro dipendente la differenza tra il valore normale delle azioni al momento dell’esercizio delle opzioni e il corrispettivo fissato per il loro esercizio.
Può accadere che un diritto di opzione originariamente non cedibile diventi cedibile successivamente; in questo caso il valore sarà assoggettato a tassazione nel periodo d’imposta in cui è sorta la trasferibilità.
Se il diritto all’esercizio delle stock options fosse trasferito dal de cuius agli eredi, quest’ultimi potrebbero avere un termine massimo entro cui poter esercitare le stock options, a seconda dei singoli specifici piani.
Ai sensi dell’art. 2 comma 1 del D.Lgs. n. 346/1990 l’imposta di successione è dovuta in relazione a tutti i beni e diritti trasferiti, ancorché esistenti all’estero.
Per determinare la base imponibile dell’imposta di successione è necessario prendere in considerazione l’art. 8 del D.Lgs n.346/1990, secondo cui: “il valore globale netto dell’asse ereditario è costituito dalla differenza tra il valore complessivo, alla data di apertura della successione, dei beni e dei diritti che compongono l’attivo ereditario, determinato dagli articoli 14, 15, 16, 17, 18 e 19 dello stesso decreto, e l’ammontare complessivo delle passività deducibili e degli oneri diversi da quelli indicati nell’art.46 comma 3”.
A riguardo è intervenuta l’Amministrazione finanziaria che con la Circolare n. 30/E del 25 febbraio del 2000, in materia di stock options e azionariato ai dipendenti, ha ritenuto che il valore delle azioni è stabilito applicando le disposizioni relative alla determinazione del valore normale, contenute nel comma 4 dell’art. 9 del Tuir, in cui si fa la distinzione tra azioni, obbligazioni e titoli negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri (lett. a); altre azioni, quote di società non azionarie e titoli o quote di partecipazione al capitale di enti diversi dalle società (lett. b); obbligazioni e titoli diversi da quelli indicati alle lettere precedenti (lett. c).
Inoltre, la medesima Circolare ha evidenziato la sostanziale distinzione tra opzioni trasferibili e non trasferibili.
Nel primo caso, come già descritto in precedenza, l’attribuzione di tali diritti deve essere assoggettata a tassazione come reddito di lavoro dipendente, dal momento dell’assegnazione; mentre nel secondo caso si tratta di diritti di opzione che possono essere esercitati senza che esista la possibilità, in alternativa all’esercizio, della loro cessione a terzi. In questo ultimo caso l’assegnazione delle opzioni non costituisce fattispecie redditualmente rilevante, in quanto non essendo diversamente monetizzabili, non è attribuibile alle stesse un valore economico o di mercato.
In altre parole i diritti discussi in quest’ultimo caso non hanno un valore monetario in sé e per sé (solo teorico in funzione del loro eventuale esercizio in quel momento), ma a tutti gli effetti solo al momento del loro esercizio. In tal caso il valore reddituale è sempre riferibile al minor prezzo di avvenuto esercizio rispetto al valore di mercato dell’azione sottostante; ma il reddito tassabile è lo “sconto” e mai l’opzione.
Tali diritti non essendo cedibili, pertanto, non risultano essere rilevanti ai fini fiscali perché privi di un valore economico; dunque l’attribuzione delle opzioni non è tassata in capo agli assegnatari.
E’ evidente che ai fini fiscali non si dà rilevanza al possesso dei diritti di opzione, ma alla sola successiva assegnazione delle azioni, posto che esse rappresentino la materializzazione di un precedente reddito di lavoro dipendente maturato nel periodo di vesting, ed in base al sinallagma prestazione di lavoro-corrispettivo.