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RIPRESE DI TELECAMERE IN UN PROCESSO PENALE: SONO AMMESSE?

Riprese di telecamere in un processo penale: sono ammesse?

E’ lecito l’uso di riprese di telecamere in un processo penale anche se non sono rispettati i tempi di conservazione. La Cassazione penale fa il punto

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La Cassazione penale fa il punto circa l’impego di riprese televisive per accertare l’esistenza del reato.
La Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi in merito all’impiego di video riprese, di un sistema di sorveglianza, utilizzate come prova in un procedimento penale, anche se nel caso di specie non erano stati rispettati i tempi di conservazione delle immagini stesse.
La Corte di Cassazione – Seconda Sezione Penale, sentenza 13 ottobre 2016, n. 43414 ha confermato le condanne inflitte nei primi due gradi di giudizio a carico di alcuni ricettatori, le cui azioni erano state riprese dall’impianto di video sorveglianza, installato in modalità tale da consentire le riprese davanti uno sportello di un bancomat.
 

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Per approfondire vedi il Commento breve al Regolamento europeo per la privacy

1) La vicenda delle riprese con telecamere presso il servizio bancomat

I due responsabili hanno proposto ricorso in Cassazione per vedere annullate le sentenze di primo e di secondo grado contestando che l’impianto accusatorio poggiava su tali riprese, avvenute in violazione sia della Costituzione che della normativa di settore. Ciò perché, a detta degli accusati, non era stato rispettato il tempo di conservazione delle immagini da parte del Titolare del trattamento dei dati personali che aveva disposto la installazione del sistema di video sorveglianza.
La Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato in merito alla presunta inutilizzabilità del filmato “in quanto conservato per un tempo superiore a quello consentito dalla legge atteso che, per un verso il documento filmato era stato formato in maniera legittima sicchè è stato correttamente recuperato nel processo penale e, per altro verso, la tutela accordata dalla legge alla riservatezza non è assoluta e cede dinanzi alle esigenze di tutela della collettività e del patrimonio”.
In buona sostanza la Cassazione ha stabilito che pur riconoscendo alla riservatezza il rango di un diritto di natura costituzionale tale diritto non è assoluto ma deve relazionarsi ad altri diritti anch’essi riconosciuti dalla Costituzione (nella fattispecie, la tutela della collettività e del patrimonio).
Sempre in relazione all’installazione di simili sistemi di videosorveglianza in luoghi di lavoro, al fine di esercitare un controllo del patrimonio aziendale, il sistema di regole introdotto dalla Legge n. 300/1970, cd Statuto dei lavoratori, non contrasta con tale interpretazione in quanto la norma vieta il controllo a distanza dei lavoratori ma non trova applicazione in relazione ai controlli cd difensivi del patrimonio aziendale (principio già contenuto in un precedente arresto, Cassazione, sezione V, 12.7.2012, n. 34842).
La Cassazione, ha quindi richiamato il Codice in materia di protezione dei dati personali (Decreto legislativo n. 196/2003 e s.m.i.), all’art. 160, c. 6 ove si afferma che “La validità, l’efficacia e l’utilizzabilità di atti, documenti e provvedimenti nel procedimento giudiziario basati sul trattamento di dati personali non conforme a disposizioni di legge o di regolamento restano disciplinate dalle pertinenti disposizioni processuali nella materia civile e penale”

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