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PRESCRIZIONE CARTELLE ESATTORIALI: TERMINE BREVE PER GLI ATTI NON IMPUGNATI

Prescrizione cartelle esattoriali: termine breve per gli atti non impugnati

Le Sezioni Unite si pronunciano sulla prescrizione delle cartelle esattoriali: vale il termine di prescrizione del credito sotteso; Cass. 23397/2016

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Solo il diritto di credito contenuto in una sentenza passata in giudicato si prescrive in 10 anni, mentre la mancata impugnazione di un qualunque atto impositivo non comporta l'allungamento del termine prescrizionale, questo il principio affermato dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione con la sentenza del 17 novembre 2016 n. 23397.

La pronuncia delle Sezioni Unite era attesa da più parti (Cass. Sez. Un. Civ. del 17 novembre 2016 n. 23397), per porre fine alla dibattuta questione della prescrizione delle cartelle esattoriali notificate dagli agenti della riscossione, con specifico riferimento al recupero coattivo dei contributi previdenziali. Sinteticamente, è possibile affermare che l'annoso problema riguardasse il termine prescrizionale da applicarsi alle cartelle i cui tributi o crediti sottesi fossero assoggettati a “prescrizione breve” (cioè inferiore ai dieci anni) in forza di disposizioni speciali derogatorie dell'art. 2946 c.c.. I contributi previdenziali, invero, sono assoggettati al termine prescrizionale di cinque anni, come sancito dall'art. 3 comma 9 L. 335/1995.

Si applica quindi il principio secondo il quale la scadenza del termine stabilito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva produce solo l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito senza determinare l’effetto della cosiddetta “riconversione” del termine di prescrizione breve, eventualmente previsto, in quello ordinario.

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1) Il contrasto e l'ordinanza di remissione

Il cuore del contrasto attiene alla possibilità di applicazione analogica del disposto di cui all'art. 2953 c.c. alle cartelle esattoriali notificate dall'agente della riscossione, secondo cui: «I diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni».
L'orientamento favorevole all'assoggettamento della cartella esattoriale al termine di prescrizione decennale fa leva sull'intangibilità della pretesa creditoria, a seguito di mancata opposizione, sostenendo che in tali casi il termine diventi di dieci anni (1).

Il concetto sostanzialmente sarebbe il seguente: il termine prescrizionale inferiore ai dieci anni previsto dalle disposizioni speciali intanto manterrebbe il proprio valore in quanto il provvedimento che lo contiene (sia esso l'atto impositivo o la cartella esattoriale) non sia divenuto inoppugnabile. Successivamente, al pari di un provvedimento giurisdizionale, sarebbe assoggettato ad estinzione per prescrizione trascorsi dieci anni.

In tale indirizzo giurisprudenziale, per vero, non si registra una vera e propria affermazione sulla “metamorfosi” dell'atto amministrativo in provvedimento giurisdizionale, con ciò consentendo un'applicazione diretta (e non analogica) dell'art. 2953 c.c., ma ciò ai fini pratici poco rileva.

L'opposta tesi, maggioritaria, prende le mosse dai principi generali dell'ordinamento ed analizza compiutamente il ruolo della pubblica amministrazione nelle procedure esecutive e la natura giuridica dell'atto impositivo o della riscossione.

Secondo questa giurisprudenza le cartelle o i ruoli non opposti non perdono, in forza della mera acquiescenza ( recte mancata opposizione) del contribuente il proprio carattere di atto amministrativo e, men che meno, si tramutano in titolo giudiziale. La differenza è, infatti, evidente: il provvedimento amministrativo è emanato da una pubblica amministrazione e non è soggetto ad un controllo giurisdizionale, se non in una eventuale sede d'impugnazione. Orbene, in difetto del “crisma della verifica giurisdizionale”, nell'ambito di un rapporto trilaterale (ente – contribuente – giudice), nel quale il ruolo del giudice sia quello di controllore delle pretese dell'Ente pubblico, non è possibile accordare al provvedimento amministrativo che instaura un rapporto bilaterale la medesima efficacia del giudicato (2).

Stante l'esistenza del contrasto e, parimenti, la rilevante importanza della questione (visto anche l'elevato contenzioso sul punto) la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione emanava l'ordinanza interlocutoria del 29 gennaio 2016 n. 1799 di trasmissione al Primo Presidente per l'eventuale rimessione alle Sezioni Unite.

Le richieste rivolte alle Sezioni Unite dall'ordinanza erano di chiarire che:

«- l'art. 2953 c.c. - che è norma speciale - non può applicarsi in via analogica ad altre fattispecie diverse dalla sentenza, con la conseguente inapplicabilità dell'art. 12 preleggi (Cass. Civ., 29 gennaio 1968, n. 285) e che nel caso di cartella di pagamento non opposta non vi è nessun titolo di formazione giudiziale dotato di autonomia, non potendo la "stabilità" della cartella non opposta nei 40 giorni equipararsi ad un giudicato, in quanto il consolidamento consegue alla mancata opposizione ;

- a mente dell'art. 2946 c.c., la prescrizione ordinaria dei diritti è decennale, se la legge non dispone diversamente, e nel caso dei contributi previdenziali è appunto la legge che dispone diversamente (L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9 cit.); ».

Inoltre, in caso di aumento del termine prescrizionale per i contributi cristallizzati in una cartella esattoriale, veniva anche rilevata una possibile violazione del divieto, imposto dal R.D.L. 1827/1935 e sorretto da ragioni di ordine pubblico, di riscuotere contributi prescritti.

2) Si applica il termine breve di prescrizione se scade il tempo per opporsi

La risposta delle Sezioni Unite con la sentenza 23397/2016: si applica il termine breve di prescrizione.

La questione rimessa alle Sezioni Unite, pur essendo indicata dall'estensore dell'ordinanza interlocutoria come di massima importanza, viene in parte ridimensionata dalla Corte nella sua più autorevole composizione. La pronuncia in commento ben inquadra il problema e sostiene che l'orientamento minoritario, giusta cui si dovrebbe applicare il termine prescrizionale previso dall'art. 2953 c.c., cioè dieci anni, sarebbe sostenuto da poche sentenze di legittimità e, per altro, quasi costantemente in obiter dicta.

La Corte dà atto della prima pronuncia che ha sposato l'orientamento minoritario: « si tratta della sentenza della Sezione V, 26 agosto 2004 n. 17051, nella quale – in una controversia relativa ad un caso di iscrizione a ruolo per l'IVA – la Corte si è limitata ad affermare espressamente che per effetto dell'iscrizione “l'ufficio forma un titolo esecutivo al quale è sicuramente applicabile il termine prescrizionale di dieci anni previsto dall'art. 2946 del codice civile”, senza peraltro alcuna specifica spiegazione sul punto e senza alcun riferimento all'actio judicati » (3).

Ad avviso di chi scrive, non si può sottacere che il contrasto avesse un notevole vigore e soprattutto nella giurisprudenza di merito e, pertanto, l'intervento delle Sezioni Unite era particolarmente atteso.

Le Sezioni Unite, aderendo all'orientamento maggioritario, ricordano che la disciplina della prescrizione è di stretta osservanza ed è insuscettibile d'interpretazione analogica e sostengono essere pacifico che:

« a) se in base all'art. 2946 cod. civ. la prescrizione ordinaria dei diritti è decennale a meno che la legge disponga diversamente, nel caso dei contributi previdenziali è appunto la legge che dispone diversamente (art. 3 comma 9 legge 335 del 1995 cit.);

b) la norma dell'art. 2953 cod. civ. non può essere applicata per analogia oltre i casi in essa stabiliti (ex multis: Cass. 29 gennaio 1968, n. 285; Cass. 10 giugno 1999 n. 5710); (…) ».

La sentenza si conclude con le seguenti affermazioni di principio, mediante le quali il contrasto può dirsi composto: « la scadenza del termine – pacificamente perentorio – per proporre opposizione a cartella di pagamento (..) pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche l'effetto della c.d. “conversione” del termine di prescrizione breve (nella specie quinquennale secondo l'art. 3, commi 9 e 10, della legge n. 335 del 1995) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell'art. 2953 cod. civ.
Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto alle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo è priva dell'attitudine ad acquistare efficacia di giudicato ».

__________________________

(1) Cass. Sez. Lav. 24 febbraio 2014 n. 4338. In senso conforme a tale orientamento si registra altresì Cass. Civ. Sez. Lav. 15 marzo 2016 n. 5060, Cass. Sez. Lav. 8 giugno 2015 n. 11749, Cass. 13081/2004 e Cass. 43871/2003, oltre a numerose pronunce di merito quali, ad esempio, Trib. Torino Sez. Lav. 5078/2009 e C. App. Torino Sez. Lav. 288/2010.

(2) Da tale principio, ovviamente, consegue che qualora il provvedimento fosse impugnato e confermato in sede giurisdizionale, nessun dubbio sussisterebbe circa l'assoggettamento al termine prescrizionale decennale, come ben precisato da Cass. Sez. Un. 10 dicembre 2009 n. 25790.

(3)Peraltro si precisa che l'IVA è comunque soggetta al termine di prescrizione decennale.

Allegato

Cassazione Sez. Un. Civ. del 17 novembre 2016 n. 23397
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