Con sentenza depositata il 23 giugno, numero 13007 del 2016 la terza sezione della Corte di Cassazione ha ribadito un principio già affermato in precedenza sulla diligenza del professionista.
Il caso in breve: un contribuente si rivolge ad un dottore commercialista perché gli viene rigettato il ricorso in appello avverso avviso di accertamento ricevuto dall’Amministrazione finanziaria, ma questi non gli dice della possibilità di ricorrere in Cassazione e lascia scadere i termini per impugnare.
Il contribuente si rivolge al tribunale contro il proprio consulente; in quanto leso il suo diritto di informazione dei canali possibili per reagire alla sentenza avversa. Tutti i gradi di giudizio danno ragione al professionista, basandosi sul fatto che un dottore commercialista non ha il patrocinio per portare un caso fino alla Cassazione, ma la Suprema Corte ribalta le carte.
Ecco i motivi e ragioni di questa importante sentenza.
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1) La storia del caso
Un contribuente si era rivolto al commercialista che già seguiva la parte contabile della sua ditta individuale per sapere come comportarsi dopo aver perso una sentenza della CTR su un precedente avviso di accertamento.
La caratteristica di svolgere il lavoro di orologiaio metteva il contribuente nella posizione, così come da lui stesso affermato di: “ignorare le condotte da adottare in questi casi”.
In merito alla sentenza negativa per il contribuente, il commercialista non aveva fornito alcuna assistenza al proprio cliente; lasciando scadere i termini per impugnarla, pensando che non gli era dovuto fornire informazioni dal momento che non essendo avvocato ma commercialista, non aveva il patrocinio per le cause in Cassazione.
A causa dell'esito a lui sfavorevole nella sentenza, il contribuente aveva dovuto sostenere a favore dell’amministrazione finanziaria un esborso di 88.000 euro più interessi. Successivamente citava in giudizio il proprio commercialista in quanto non gli aveva fornito l’assistenza richiesta.
Il consulente resisteva sostenendo che fino a quel momento avevo fornito al cliente una consulenza solo contabile, e non aveva ricevuto alcun incarico su una possibile impugnativa della sentenza della Corte Tributaria Regionale, a cui, peraltro, era inabilitato a partecipare.
In primo grado il tribunale di Campobasso, rigettava la domanda del contribuente, sostenendo che dal momento che non era abilitato alla difesa tecnica in giurisdizioni superiori al secondo grado; il commercialista non avrebbe comunque potuto impugnare la sentenza di fronte alla cassazione.
Il contribuente proponeva appello avverso questa sentenza, ma gli veniva respinto; rivolgendosi infine alla Cassazione per un giudizio di merito.
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2) La sentenza della Cassazione sulla responsabilità del professionista
Come detto, il contribuente ricorreva in Cassazione con diversi motivi, il cui fondante era il seguente: “la consulenza richiesta al professionista era tecnico-giuridica, volta a conoscere tempestivamente rimedi, termini, modalità previsti dall’ordinamento giuridico per la tutela avverso alla sentenza sfavorevole della CTR, e di analizzare sul piano tecnico i motivi del provvedimento e quelli del rigetto. Da ciò deriva l’obbligo per il professionista di informare il cliente dell’esistenza della cassazione e dei termini per proporlo e della necessità di rivolgersi a un avvocato per quel grado.”
Il professionista resisteva sostenendo che non gli era stato affidato un incarico specifico, in quanto nella sentenza della CTR il cliente era stato seguito da un altro professionista. L’incarico di carattere tecnico era solo orale, e c’era stata da parte dell’orologiaio una condotta incurante e omissiva, in quanto non gli aveva fornito copia della sentenza e altri documenti.
La cassazione entrava nel merito della questione, chiarendo il principio analizzato di seguito.
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3) Il dovere di diligenza per il professionista
Sulla portata dell’incarico del professionista occorre fare riferimento a quanto previsto dall’art. 1176, comma 2 e dall’art. 2236 del codice civile in tema di diligenza.
Nella sentenza in esame, la Cassazione afferma che: “qualora si tratti di attività di consulenza richiesta ad un dottore commercialista, il dovere di diligenza impone, tra gli altri, l’obbligo non solo di dare tutte le informazioni che siano di utilità per il cliente e che rientrino nell’ambito della competenza del professionista, ma anche quelle che esulano dal suo ambito”.
Il testo della Suprema Corte continua sostenendo che: “il professionista incaricato dovrà perciò procedere ad informare il cliente dei limiti della propria competenza e fornire elementi ed i dati comunque nella sua conoscenza per consentire al cliente di prendere proprie autonome determinazioni, eventualmente rivolgendosi ad altro professionista incaricato competente”.
Il dovere di diligenza per il professionista è diversa da quella richiesta dal una persona media (il cd. buon padre di famiglia) in quanto comprende la professionalità del ruolo ricoperto.
La sentenza delle Cassazione critica anche la decisione del giudice di secondo grado di fondare il proprio convincimento sul fatto che un dottore commercialista non sia abilitato per la Cassazione, in quanto è in ogni caso mancato “l’ottemperanza all’obbligo di informare il cliente della necessità di rivolgersi ad un avvocato abilitato e di fornirgli indicazioni sui termini per impugnare la sentenza avversa.”
La Corte cassava così la sentenza di secondo grado, e rimetteva la decisione al giudice d’appello.
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4) I precedenti giurisprudenziali sulla responsabilità del professionista
La Corte di Cassazione non è nuova a questo orientamento, in quanto già nel 2014 con la sentenza n. 11147 aveva condannato un ragioniere, che non aveva fornito al proprio cliente informazioni sulla possibilità di sanare la posizione con l’amministrazione aderendo al condono.
Con questa sentenza si conferma questo filone interpretativo.
In allegato la sentenza oggetto di approfondimento.
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