Per la Corte di Cassazione, è configurabile il concorso nel reato tributario di “Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” (di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000) di chi - pur non rivestendo cariche sociali - abbia partecipato alla creazione di una frode fiscale utilizzata dall’amministratore di una società al fine di evadere le imposte
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1) La Cassazione condanna a due anni gli amministratori di fatto che hanno ideato il meccanismo fraudolento
Con la sentenza n. 9853 del 09 marzo 2016, la Sez. III della Corte di Cassazione si è espressa in merito ad un ricorso presentato da due soggetti condannati dalla Corte di Appello di Torino a due anni di reclusione ciascuno per i reati di cui agli artt. 110 e 81 cpv. c.p. e all’art. 2 del D.Lgs. n. 74 del 2000.
Nel caso in esame, i giudici di merito hanno ritenuto che un amministratore unico di una società ed un azionista della stessa impresa (ritenuto essere anche l’amministratore di fatto), avendo agito in accordo tra loro nel creare un insidioso meccanismo fraudolento che ha portato all’annotazione in dichiarazione di fatture per operazioni “soggettivamente” inesistenti, fossero entrambi gli autori materiali, in concorso tra loro, del delitto in materia di dichiarazione di tipo commissivo di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000.
Sul piano normativo, a seguito della revisione subìta dal D.Lgs. n. 74/2000 per mezzo dell’entrata in vigore (dal 22 ottobre 2015) del D. Lgs. n. 158 del 24 settembre 2015, l’attuale formulazione dell’art. 2 risulta la seguente:
“1. E' punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi.
2. Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria”.
Con riguardo, invece, all’oggetto materiale del reato (ovvero le fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), l’art. 1 del D. Lgs. n. 74/2000 recita:
“Per "fatture o altri documenti per operazioni inesistenti" si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie:
- emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o
- che indicano i corrispettivi o l'imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero
- che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi”.
La casistica riportata all’ultimo punto tra quelli qui sopra riportati è quella afferente il ricorso esaminato con la sentenza in rassegna.
Come riportato nei motivi della decisione dei giudici di legittimità, gli imputati avevano ideato un meccanismo idoneo ad eludere il versamento del debito IVA dovuto, utilizzando lo schermo di società fittizie che servivano per “precostituire” titoli falsi per la detrazione dell’imposta sul valore aggiunto.
Pertanto l’inesistenza soggettiva delle fatture ritenute false è da ricondurre, in base alla ricostruzione dei giudici, all’interposizione fittizia di società c.d. cartiere, ovvero soggetti giuridici costituiti ad hoc, privi di una qualsiasi struttura atta allo svolgimento di attività commerciale, ma necessari per far “girare” falsi documenti fiscali necessari per detrarre illecitamente l’IVA sugli acquisti.
Per la Corte di Cassazione, quindi, i giudici di merito hanno correttamente accertato il ruolo dell’azionista e amministratore di fatto della società che ha evaso l’IVA in sede di dichiarazione annuale attraverso la costituzione di una delle realtà economiche fittizie, utilizzate nel meccanismo evasivo individuato.
E ancora, ad avviso dei giudici di piazza Cavour nella sentenza della Corte di Appello di Torino è stata altresì correttamente affermata la responsabilità in concorso dell’amministratore di fatto con l’amministratore unico per il reato contestato.
Sul punto la Suprema Corte, richiamando un pregresso percorso giurisprudenziale (sentenza n. 35729 del 01/08/2013), è giunta ad un’importante conclusione in tema di concorso della responsabilità penale nei reati tributari.
La Corte ha infatti ricordato che è “configurabile il concorso nel reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 di coloro che – pur essendo estranei e non rivestono cariche nella società a cui si riferisce la dichiarazione fraudolenta – abbiano partecipato a creare il meccanismo fraudolento che ha consentito all’amministratore della società, sottoscrittore della dichiarazione fraudolenta, di avvalersi della documentazione fiscale fittizia”.
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