In tema di imposta di registro, ai fini dell'applicazione delle agevolazioni tributarie per i territori montani previste dall'art. 9 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, l'acquirente deve rivestire la qualità di coltivatore diretto, senza che sia necessaria l'esclusività o la prevalenza di tale attività rispetto alle altre eventualmente esercitate che, quindi, restano irrilevanti, a meno che da esse non si ricavi, sotto il profilo probatorio, l'impossibilità della coltivazione del fondo. E’ quanto emerge dalla sentenza 3 Febbraio 2016, n. 2105, della Quinta Sezione Civile della Cassazione.
IL CASO
La vicenda è quella di un agricoltore raggiunto da un avviso di liquidazione, con il quale l'Agenzia delle Entrate di Torino ha revocato i benefici per imposta di registro, ipotecaria e catastale previsti dalla L. n. 604 del 1954 ("Modificazioni alle norme relative alle agevolazioni tributarie a favore della piccola proprietà contadina"). A detta dell’Ufficio, il contribuente aveva acquistato vari terreni agricoli, di cui alcuni non coltivabili e destinati ad attività agrituristica. La Commissione Tributaria Regionale di Torino, in riforma della prima decisione, dichiarava legittimi gli avvisi di rettifica e liquidazione.
Il giudizio approda in Cassazione su ricorso del contribuente che lamenta, per quanto qui d’interesse, la violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1954, art. 7, in quanto la commissione tributaria regionale avrebbe riconosciuto la decadenza dai benefici fiscali basandosi sul solo certificato del Settore Territoriale Agricoltura rilasciato dalla Provincia, che aveva escluso i presupposti per il riconoscimento dell’agevolazione fiscale, sebbene il fondo “agevolato” non fosse stato alienati a terzi, e il fabbricato fosse adibito a residenza del coltivatore diretto e della sua famiglia; e sebbene la destinazione ad attività agrituristica del fabbricato e dei mappali fosse strettamente connessa all'attività agricola.
IL COMMENTO ALLA SENTENZA
I Supremi Giudici hanno accolto il ricorso ricordando, preliminarmente, che rientra tra i compiti del giudice tributario “il potere/dovere di accertare direttamente la titolarità, da parte del contribuente, dei requisiti per godere delle agevolazioni in esame”.
Nel caso di specie la CTR non ha escluso le agevolazioni ex L. n. 604 del 1954 , per effetto dell'attestazione dell'ispettorato provinciale agrario, piuttosto in conseguenza di un'autonoma valutazione di ordine prettamente giuridico, “secondo cui la destinazione ad attività agrituristica di determinati mappali integrava di per sè - ed indipendentemente dalla veste di coltivatore diretto effettivamente rivestita dal contribuente - causa di decadenza dalle agevolazioni ex art. 7, L. cit. (sotto il profilo, in particolare, della "cessazione della coltivazione diretta", nel quinquennio dall'acquisto, dei mappali esclusi”.
In pratica, osservano i giudici, non è in discussione la qualità di coltivatore diretto e nemmeno l'accorpamento-integrazione funzionale dei terreni acquistati con quelli già in proprietà del medesimo e coltivati dal suo nucleo familiare, piuttosto la destinazione di parte dei mappali ad una differente attività (nella specie quella agrituristica). (...)
Pertanto, concludono i giudici, la destinazione dei mappali ad una differente attività (nella specie quella agrituristica) non implica, quale effetto automatico, la decadenza dalle agevolazioni previste per la proprietà contadina ciò sul presupposto che la definizione di coltivatore diretto desumibile dalla legge ( L. n. 203 del 1982, art. 6) "si limita a stabilire che la forza lavorativa sua e della famiglia deve costituire almeno un terzo di quella occorrente per le normali necessità di coltivazione del fondo, tenuto conto agli effetti del computo delle giornate necessarie per la sua coltivazione anche dell'impiego di macchine agricole, senza fare alcun riferimento alla esclusività dell'attività coltivatrice rispetto ad altre eventualmente esercitate, eventualmente con carattere di prevalenza" (Cass. 2663/06).
Del resto, puntualizza la Corte, le attività di ricezione ed ospitalità nell'azienda agricola devono necessariamente porsi "in rapporto di connessione e complementarità rispetto alle attività di coltivazione del fondo, silvi-coltura, allevamento del bestiame, che devono comunque rimanere principali" e lo svolgimento di attività agrituristiche, nel rispetto delle norme di cui alla presente legge, non costituisce distrazione della destinazione agricola dei fondi e degli edifici interessati". (...)
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