Con l’impennata delle quotazioni dell’oro di questi ultimi giorni, imprevista dalla maggior parte degli analisti, e con l’elevato numero di scambi fisici del metallo giallo, torna in auge l’aspetto fiscale, e non solo, sulla corretta trattazione delle somme realizzate da parte delle persone fisiche non soggetti passivi IVA e non esercenti attività commerciali.
1) Tassazione della plusvalenza derivante dalla cessione di oro fino
Sovente ricorre la casistica rappresentata da investitori privati che, a fronte delle incertezze dei mercati finanziari e a fronte delle irrisorie remunerazioni offerte per l’impiego di capitali, preferiscono ricorrere al bene rifugio per eccellenza al fine di soddisfare l’esigenza di maggior tutela dei propri risparmi.
In momenti favorevoli occasionali come quello corrente, poi, gli investitori privati possono trovare opportuno e conveniente cedere l’oro fino acquistato a scopo di investimento per realizzare un discreto vantaggio.
A fronte di tale situazione, e al cospetto del conseguimento di guadagni relativamente di nuova natura, è bene analizzare l’aspetto tributario ad esso riferito il quale, non potendosi qualificare ricavo per l’assenza di esercizio di attività di impresa; non essendo rappresentati da Certificati o Titoli gestiti da intermediari finanziari in Regime fiscale Gestito o Amministrato rispetto ai quali è l’Istituto Finanziario ad occuparsi degli obblighi fiscali; l’onere sull’obbligo dichiarativo e sulla natura di reddito cui collocare la differenza tra acquisto e vendita, incombe sul contribuente.
A tal riguardo, si ricorda che la plusvalenza ottenuta dalla persona privata nella cessione dei metalli preziosi in genere è considerato Reddito Diverso ed è soggetta a tassazione di cui all'art. 67, co. 1 lettera c-ter, del T.U.I.R., la quale, inoltre si precisa, è diversa dalla plusvalenza realizzata sugli immobili e, quindi, non dipende dal tempo trascorso dall'acquisto, pertanto, al di là del periodo trascorso dall'acquisto, la plusvalenza è sempre soggetta a tassazione. A proposito è opportuno anche ribadire che nel caso di acquisto del metallo a titolo gratuito (donazione o successione) il valore di acquisto da considerare è quello dichiarato in tale sede che, poi, è pari a quello di mercato vigente in tale momento.
In codesta fattispecie di trasferimento a titolo gratuito (donazione o successione) di oro fino da investimento come quella di trasferimento a titolo oneroso, il cittadino privato non dovrebbe effettuare nessuna segnalazione all’Anagrafe Tributaria, poiché, la persona fisica non esercente attività economico/finanziaria non rientra tra i soggetti indicati all'art. 7 del DPR 605/1973 o ad essi assimilati, obbligati alla comunicazione dei Rapporti Finanziari all’Archivio dei Rapporti.
Gli stessi privati cittadini, invece, per la normativa antiriciclaggio, anche se non appartengono ai soggetti di cui all'art. 1 della L. 7/2000, sono tenuti a trasmettere all'U.I.F. la dichiarazione di trasferimento di oro di valore superiore a euro 12.500,00, prevista dal co. 2 dello stesso art. 1 della medesima legge n. 7/2000, attraverso Banche o Operatori Professionali in Oro.
A tal proposito, inoltre, si raccomanda al cittadino/contribuente di tenere in archivio l'atto di donazione, l'eventuale testamento oppure la dichiarazione di successione per giustificare la provenienza dell'oro qualora venga richiesta dall’Amministrazione Finanziaria.
Agli effetti della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze (comma 7, art. 68 TUIR) per le cessioni di metalli preziosi, in mancanza della documentazione del costo di acquisto, le plusvalenze sono determinate in misura pari al 25 per cento del corrispettivo della cessione.
Dalla disposizione fiscale contenuta nell’art. 67 del TUIR, riferita ai metalli preziosi allo stato grezzo o monetato (lingotti, pani verghe bottoni ecc.) e per quanto chiarito dai dalla Circolare n. 165/1998, è esclusa da tassazione la cessione di metalli lavorati come ad esempio gli oggetti appartenenti alla categoria della gioielleria.
Fissato che tali operazioni commerciali non producono Reddito Diverso di cui all’art. 67 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, resta da esaminare che tale realizzo non rientri in altra Categoria di Reddito. Infatti, dalla numerosità e/o l’entità delle operazioni, può ravvisarsi l’esercizio di attività di impresa, ancorché non dichiarata, e pertanto, tali introiti sono attratti nell’ambito dell’art. 55, comma 1 del TUIR. Secondo la giurisprudenza della Cassazione, richiamata anche dall’Agenzia delle Entrate (Ris. n. 204/2002), la qualifica di imprenditore può emergere anche da un solo affare in considerazione della sua rilevanza economica e delle operazioni che il suo svolgimento comporta (Cassazione 31 maggio 1986 n. 3690).
Altra possibilità da considerare è l’applicabilità del comma 1, lett. i), dell’art. 67 del TUIR, il quale attrae a Redditi Diversi “i redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente”, in tale fattispecie il legislatore fiscale ha stabilito che anche un’attività commerciale di natura saltuaria può configurare un reddito diverso.
Su codesto punto, però, anche senza certezze di Legge o di Prassi, si può cautamente affermare che le operazioni singole e sporadiche di acquisto o di vendita eseguite senza alcuna organizzazione non possano configurare un’attività commerciale in quanto occorre una serie di atti combinati, ancorché di natura elementare (CTP di Pisa n. 33 del 13 gennaio 2004).
a cura di Nunzio Ragno e Giuseppe Quarticelli
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