Il bilancio espresso secondo i rigidi criteri richiesti dai regolamenti delle camere di commercio che richiedono la spedizione nel formato XBRL, non consentono il rispetto degli obblighi informativi.
Prima di incominciare un concordato preventivo liquidatorio, è opportuno porre la società in liquidazione, e, se possibile, nominare un liquidatore professionista, che possa seguire e aiutare il liquidatore giudiziale per tutto il processo di liquidazione. Quando una società viene messa in liquidazione, cambiano gli scopi informativi del bilancio e i criteri che devono essere applicati.
Ben si capisce, che non è compatibile con i rigidi schemi previsti per la spedizione in formato XBRL il bilancio di liquidazione in genere e in special modo, se la società sia destinata al concordato preventivo e sarà pertanto necessario, inviare alla camera di commercio una nota integrativa pressoché vuota, o che comunque non riporti alcuno dei prospetti comparativi dei valori predisposti dalle camere di commercio e un allegato contenente la vera nota integrativa con gli elementi richiesti dalla legge e dai principi contabili.
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1) Finalità del bilancio all'inizio della procedura liquidatoria
Il bilancio iniziale di liquidazione, a prescindere dal concordato preventivo, ha le seguenti finalità:
a) accertare la “situazione iniziale” del patrimonio dell’impresa che è indispensabile per la successiva gestione di liquidazione.
b) determinare il valore del patrimonio netto iniziale di liquidazione per poter successivamente pervenire alla determinazione del risultato economico dei successivi esercizi, del capitale finale di liquidazione, e, quindi, delle quote di riparto dell’attivo netto residuo fra i soci;
c) stabilire se presumibilmente (e salvo nuovi o più completi accertamenti di attività e passività che costituiscono un vero e proprio obbligo dei liquidatori) i fondi liquidi esistenti alla apertura della liquidazione e gli incassi derivanti dal realizzo delle attività saranno sufficienti ad estinguere le passività e coprire le spese e gli oneri della liquidazione tenuto conto anche delle sequenze temporali di incassi e pagamenti.
Nel caso di un concordato preventivo, però, il bilancio iniziale di liquidazione, ha anche la precisa funzione di costituire un elemento di partenza per la rappresentazione veritiera dei valori, che dovranno essere espressi nel piano di ristrutturazione dei debiti e soddisfazione dei crediti di cui all’articolo 160 della legge fallimentare.
Come risulta dalle disposizioni degli artt. 2484 e 2486 del codice civile, al verificarsi di una delle cause di scioglimento della società, la gestione dell’impresa subisce delle trasformazioni di rilievo, e viene, di fatto, a cessare un esercizio. Per esercizio, nel linguaggio corrente, si intende in genere l’anno, e, in effetti, nella quasi totalità dei casi, l’anno amministrativo e l’esercizio, coincidono. Nel linguaggio giuridico e aziendale, l’esercizio è un periodo di tempo significativo in cui abbia senso correlare costi, ricavi e valori che hanno natura omogenea. Il processo di liquidazione, a ancora di più quello di concordato preventivo, mutano profondamente la natura dei valori e quindi comportano l’impossibilità di correlare i valori del periodo precedente alla messa in liquidazione, con quelli successivi. Vengono ad essere modificati i presupposti, ovvero, l’interesse prevalente non è più quello dei soci all’esercizio il più possibile profittevole della gestione allo scopo di incrementare il valore del patrimonio della società e di conseguire (nella maggior misura possibile) dei dividendi, senza tuttavia pregiudicare la redditività futura dell’impresa; bensì quello relativo alla monetizzazione, dell’attivo investito alla tutela degli interessi dei creditori. Vi è, dunque, una trasformazione sul piano economico del capitale investito nell’impresa: esso non è più uno strumento di produzione del reddito, bensì un semplice coacervo di beni destinato alla conversione in danaro liquido, al pagamento dei creditori.
L'applicazione del principio di prudenza, che rimane valido, comporta la valutazione individuale degli elementi componenti le singole poste o voci delle attività o passività, per evitare compensi tra perdite che devono essere riconosciute e profitti da non riconoscere in quanto non realizzati. Il principio della funzione economica dell’elemento dell’attivo o del passivo perde la propria significatività in quanto il bilancio deve esprimere la sua capacità di coprire i debiti dei fornitori attraverso il processo di liquidazione giudiziale. Viene meno il postulato della “continuazione dell’attività dell’impresa” (going concern), in favore dell’ipotesi del “realizzo” per questa ragione, perde completamente di significato ogni comparazione tra i valori rappresentati precedentemente e quelli rappresentati successivamente alla messa in liquidazione e alla domanda di concordato.
Ciò comporta il verificarsi delle seguenti conseguenze:
a) viene meno la distinzione fra immobilizzazioni ed attivo circolante, perchè tutti i beni ed i crediti sono destinati al realizzo diretto sul mercato, nel più breve tempo possibile;
b) viene meno la determinazione, con criteri prudenziali, di un utile distribuibile ai soci senza ledere l’integrità del capitale preesistente, che è lo scopo fondamentale del bilancio d’esercizio, e non sono più applicabili (salvo qualche eccezione) i principi generali indicati nell’art. 2423-bis c.c., primo fra tutti, il postulato della “continuazione dell’attività dell’impresa” (going concern);
c) non si dovrà più procedere al calcolo degli ammortamenti delle immobilizzazioni materiali ed immateriali.
Il criterio di valutazione delle attività, dunque, non può essere, come per il bilancio d’esercizio, il costo storico (la cui applicazione è giustificata dall’esigenza di determinare un utile interamente realizzato, distribuibile ai soci) bensì il valore di realizzo per stralcio dei beni ed il valore di realizzo dei crediti. Per quanto riguarda le passività, parimenti si adotta un unico criterio: il valore di estinzione dei debiti, che dovranno essere indicati, al lordo della riduzione che subiranno per effetto della procedura concordataria.
I criteri con i quali occorre valutare le singole poste attive e passive del bilancio di liquidazione discendono logicamente dalle funzioni ad esso assegnate e dalla destinazione impressa al patrimonio sociale con lo scioglimento della società e con il concordato preventivo, che sono radicalmente diversi da quelli prescritti dall’art. 2426 e segg. c.c. per il bilancio d’esercizio. Per le attività vi è un solo criterio: il probabile valore di realizzo conseguibile entro un termine ragionevolmente breve e tenuto presente che normalmente i beni vengono venduti separatamente. Anche per le passività vi è un unico criterio: il valore di estinzione, ossia la somma che si dovrà pagare per estinguerle, tenuto conto anche degli interessi. al netto degli oneri diretti di realizzo, e sarà proprio tale valore quello che dovrà essere attestato dal professionista “attestatore” di cui all’articolo 161 III comma, che dovrà procedere, autonomamente, anche alla valutazione della correttezza delle spese di procedura espresse nel piano concordatario, alla corretta attribuzione dei privilegi e alla prudenziale determinazione dei flussi della liquidazione ai fini del rispetto dei tempi indicati nel piano medesimo. Analoga valutazione, dovrà poi essere effettuata, dal commissario giudiziale, che assumerà le funzioni di ausiliario del giudice. A tale proposito, il professionista scelto dalla società a norma del citato articolo 161, prima e poi il commissario giudiziale, dovranno verificare l’effettiva corretta ragionevolezza dei valori indicati secondo il criterio del valore di realizzo e del criterio del valore di estinzione.
A favore di queste conclusioni militano anche le disposizioni dell’art. 2490, 4° comma, che presuppongono, con chiarezza, una differenza tra criteri di funzionamento, applicati nell’ultimo bilancio (d’esercizio) approvato dall’assemblea dei soci e criteri utilizzati nei bilanci di liquidazione.
Il bilancio espresso secondo i rigidi criteri richiesti dai regolamenti delle camere di commercio che richiedono la spedizione nel formato XBRL, non consentono il rispetto degli obblighi informativi sopra detti. Le camere di commercio, infatti, hanno di fatto trasformato, appunto per regolamento, la disciplina prevista dal codice civile, per i bilanci, sovvertendo, in modo palese, la gerarchia delle fonti, ma quali destinatarie, sia pur solo perché adempiano alla corretta pubblicità informativa, hanno obbligato le imprese a un’informazione più omogenea e comparabile, che però perde ogni capacità, proprio laddove i valori smettono di essere comparabili e omogenei. Sarebbe pertanto sbagliato adempiere all’informativa richiesta secondo gli schemi previsti dalla nota integrativa in formato XBRL comparando valori diversi per criteri, natura e funzione.
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