Il trasferimento di azienda si verifica ogni qual volta che, a seguito di operazioni societarie di varia natura (cessione, scissione, fusione, affitto, usufrutto), il titolare dell'attività venga a mutare.
Il trasferimento può riguardare l'intera azienda o parte di essa e in questo caso si parla di trasferimento di ramo d'azienda. Oltre a ciò, è necessario che la cessione avvenga con riferimento ad una vera e propria entità economica organizzata in maniera stabile la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità e consenta l'esercizio di un'attività economica finalizzata al perseguimento di uno specifico obiettivo.
Inoltre, pur essendo vero che la fattispecie della cessione di azienda ricorra anche nel caso in cui il complesso degli elementi trasferiti non comprenda tutti i beni della presunta cedente, tuttavia per la ricorrenza di detto trasferimento è indispensabile che i beni oggetto della cessione conservino un residuo di organizzazione che ne dimostri l'attitudine, sia pure con la successiva integrazione del cessionario, all'esercizio dell'impresa: in altre parole, quanto ceduto deve essere di per sé un insieme organicamente finalizzato "ex ante" all'esercizio dell'attività di impresa, autonomamente idoneo a consentire l'inizio o la continuazione di quella determinata attività (cfr. Cass. 09.10.2009, n. 21481).
Senza approfondire ulteriormente in questa sede, si vuole comunque segnalare che, con il Dlgs 276/2003, il Legislatre ha affermato, almeno in parte, che non è più necessario che tale autonomia sia preesistente al trasferimento.
Il trasferimento d’azienda può avvenire attraverso l’utilizzo di negozi giuridici differenti. Può essere a titolo definitivo, ad esempio con la vendita, o temporaneo, come ad esempio con l’affitto d’azienda. Ancora, può essere attuato con un atto unilaterale, ad esempio la donazione, o con un contratto, ad esempio la cessione d’azienda.
È importante, prima di parlare di trasferimento d’azienda, stabilire se i beni che formano oggetto di un atto dispositivo dell’imprenditore costituiscano o meno un’azienda oppure se non si tratti semplicemente del trasferimento di singoli beni aziendali.
La soluzione al problema è data dalla capacità o potenzialità produttiva del complesso dei beni che formano oggetto di disposizione.
Se il complesso dei beni è in grado di produrre beni o servizi è corretto etichettare il trasferimento come trasferimento d’azienda; se il complesso dei beni trasferiti non è in grado di produrre beni o servizi ci si trova in presenza di un trasferimento di singoli beni.
È importante sottolineare che il complesso dei beni che formano oggetto di trasferimento può essere qualificato come azienda anche se la capacità produttiva del complesso dei beni è soltanto potenziale.
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Sempre della stessa autrice sulla successione nei contratti, nei debiti, nei crediti e nei rapporti di lavoro nella cessione d'azienda leggi anche l'articolo "Il trasferimento d'azienda e la successione nei rapporti"
1) Forma del contratto di trasferimento d'azienda
In ordine alla forma del contratto di trasferimento d’azienda si opera una distinzione fra forma necessaria per la validità del contratto, forma richiesta ai fini probatori e forma richiesta per l’iscrizione nel registro delle imprese.
La forma è uno degli elementi essenziali del contratto, quindi il mancato rispetto della forma richiesta dalla legge per la validità del contratto comporta la nullità dello stesso.
Per il trasferimento d’azienda la forma richiesta ai fini della validità del contratto è libera, fatto salvo il caso in cui rientrino nel compendio aziendale beni immobili o beni mobili registrati, nel qual caso la forma richiesta è quella scritta. Pertanto il contratto di cessione di un’azienda composta esclusivamente da beni mobili non registrati può essere stipulato anche in forma verbale.
Per quanto riguarda, invece, la forma richiesta a fini probatori, il Codice Civile prescrive la forma scritta. Pertanto, il contratto di trasferimento d’azienda può essere provato soltanto per iscritto. Di conseguenza un contratto di trasferimento d’azienda comprendente esclusivamente beni mobili non registrati e stipulato in forma verbale è perfettamente valido ma non può essere provato in giudizio.
Relativamente alla forma richiesta ai fini dell’iscrizione nel Registro delle imprese il Codice Civile prescrive la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata. L’atto pubblico è l’atto redatto con l’assistenza del notaio (cioè l’atto rogato dal notaio), la scrittura privata autenticata è un contratto scritto con le firme autenticate dal notaio.
In definitiva, poiché il contratto di trasferimento d’azienda è soggetto ad iscrizione nel Registro delle imprese e la forma richiesta per l’iscrizione è quella dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata, nella pratica si adotterà sempre una delle due forme anche nel caso in cui non rientrino nel compendio aziendale beni immobili o beni mobili registrati. L’iscrizione nel Registro delle Imprese deve avvenire nel termine di 30 giorni dalla data del contratto a cura del notaio rogante o autenticante. Per gli imprenditori commerciali il contratto di trasferimento d’azienda deve essere iscritto nella sezione ordinaria del Registro delle Imprese e l’iscrizione produce efficacia dichiarativa, cioè determina l’opponibilità del trasferimento ai terzi.
2) Divieto di concorrenza nel trasferimento di azienda
Nel disciplinare il trasferimento d’azienda il legislatore ha perseguito l’obiettivo di evitare che il cedente, in un periodo prossimo al trasferimento d’azienda, assuma un comportamento concorrenziale a svantaggio dell’acquirente.
Il Codice Civile, all’art. 2557, stabilisce che chi aliena un’azienda commerciale debba astenersi per un periodo massimo di 5 anni dal trasferimento d’azienda dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze possa sviare la clientela dell’azienda ceduta. Quindi il legislatore ha inteso tutelare anzitutto l’acquirente evitando che la clientela possa essere nel breve termine sviata dall’alienante. Nel contempo, peraltro, ha voluto evitare che l’alienante veda compressa la propria libertà di iniziativa economica oltre un determinato arco di tempo sufficiente per consentire all’acquirente di consolidare la propria clientela, termine legislativamente stabilito in 5 anni.
Il termine previsto dalla legge è derogabile in meno e cioè può essere previsto un intervallo più breve, ma non è derogabile in più, nel senso che non è possibile prolungare oltre i 5 anni la durata del divieto. Quanto al contenuto del divieto di concorrenza, e cioè in merito all’oggetto, all’ubicazione o ad altre circostanze relative all’inizio di una nuova impresa, alienante ed acquirente hanno massima libertà di pattuizione.