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CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI INCOSTITUZIONALE?

Contratto a tutele crescenti incostituzionale?

Dubbi di legittimità costituzionale sulle previsioni dell’art. 1 d.lgs 23/2015, Jobs Act, sul campo di applicazione del nuovo contratto a tutele crescenti

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L’art. 1 del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, attuativo della L. 183/2014, c.d. Jobs Act, che delinea il campo di applicazione del decreto legislativo in materia di contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, è oggetto di intenso dibattito e attenzione per i profili applicativi stante anche le ipotesi, prospettate da più parti, di illegittimità costituzionale.  (...)

In particolare le previsioni dell’art. 1, relative al campo di applicazione del nuovo contratto a tutele crescenti, hanno fatto sorgere diversi dubbi di legittimità costituzionale (articoli 3 e 117), per i profili di ingiustizia sociale ed equità, che potrebbe produrre.

Per effetto delle nuove previsioni, infatti, nella stessa azienda la tutela si muoverà su un doppio binario:

  • lavoratori assunti prima della data di entrata in vigore (del decreto);
  • lavoratori assunti successivamente alla data di entrata in vigore (7 marzo 2015)

con conseguenze che saranno evidenti nei casi di licenziamento illegittimo.

Rispetto ai casi di conversione di contratti a tempo determinato o di contratto di apprendistato in contratto a tempo indeterminato, il co. 2 dell’art.1, stabilisce l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 1. Questa previsione, mancante nell’originario decreto, è stata inserita nella stesura successiva anche se non manca di suscitare dei dubbi in quanto la nuova disciplina si dovrebbe applicare ai “nuovi assunti” con contratto a tempo indeterminato mentre gli apprendisti per effetto delle conversione, sono “vecchi assunti”, nella misura in cui risultano prestatori di lavoro assunti sin dall’inizio del rapporto. Restano aperte delle problematiche anche per i lavoratori a tempo determinato assunti in seguito a conversione del contratto. In tali fattispecie è dirimente il termine in merito ai profili di legittimità/illegittimità.

Ne discende, quindi, la necessità per gli operatori del diritto di leggere organicamente l’art. 1, dal primo al terzo comma, e in maniera integrata alla luce dell’impianto complessivo del testo normativo.

Sono quelle su esposte alcune delle motivazioni che hanno indotto l'Associazione Nazionale Giuristi Democratici, unitamente ad avvocati e docenti giuslavoristi di vari Fori d'Italia, a scrivere una lettera al Capo dello Stato affinché non firmasse il decreto. Nel testo del documento si evidenziava la constatazione dell'arretramento delle tutele che l'emanando avrebbe finito per attuare, "riportando le garanzie giurisdizionali offerte a quella parte di concittadini-lavoratori destinatari della nuova disciplina ad una soglia di azionabilità della lesione dei loro diritti derivanti dal rapporto di lavor" che appariva "al più, paragonabile a quella vigente nel nostro ordinamento prima della introduzione dello Statuto dei diritti dei Lavoratori di cui alla legge 20 maggio 1970 n. 300"[1].

Restando in tema di incostituzionalità appare opportuno segnalare che al co. 3, dell’articolo in commento, il Legislatore prevede l’applicazione della nuova disciplina anche ai dipendenti che al momento rientrano nell’alveo di operatività della tutela obbligatoria (art. 18, l. n. 300/1970) se per effetto delle nuove assunzioni, successive alla entrata in vigore del decreto, le aziende nelle quali sono occupati superino una delle soglie dimensionali di cui ai commi 8 e 9 dell’art. 18, l. n. 300/1970.

Qui si annida una ipotesi di eccesso di delega rispetto alle previsioni della legge n. 183/2014 con cui il Governo era delegato ad introdurre una nuova disciplina, in materia di regime sanzionatorio per i licenziamenti illegittimi ma solo per i “nuovi assunti”. Esattamente il Governo - allo scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo – era delegato ad adottare uno o più decreti legislativi «per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio»  (art. 1, co. 7, lett. c) l. n. 183/2014).

In tal modo la novella introduce una nuova disciplina per coloro che sono già assunti in azienda e che subiscono, per effetto del co. 3, dell’art. 1, una tutela, di fatto e diritto, differenziata.

Rispetto alle previsioni contenute nell’art. 1, per completezza si riporta una osservazione contenuta nel Dossier del Servizio Studi sull’A.G. n. 134 (pubblicato a gennaio 2015) in cui si suggerisce che «potrebbe essere ritenuto opportuno valutare l’esigenza dell’adozione di una norma di chiusura, che faccia salva l’applicazione, ove più favorevoli per il lavoratore (in qualche particolare circostanza ed in base alla valutazione, da parte del giudice, dei parametri vigenti), dei criteri di calcolo dell’eventuale indennità risarcitoria (per il licenziamento) già applicabili al medesimo datore al di sotto dei limiti minimi dimensionali, rispetto ai criteri di calcolo disciplinati dall’articolo 3, comma 1, e dall'articolo 4 dello schema di decreto».

[1] Così nella lettera dell’Associazione Nazionale Giuristi Democratici di Richiesta di rinvio al Governo, ai fini del riesame, del primo decreto attuativo della legge delega 10 dicembre 2014 n. 183 «recante disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti» nella quale si precisa alle violazioni degli artt. 3 e 117 Cost «si aggiungono una serie di eccessi di delega, che hanno introdotto nel decreto previsioni normative non riconducibili ai principi ed ai criteri direttivi enucleati dal Parlamento».

L'articolo continua dopo la pubblicità

tratto da LA CIRCOLARE DEL LAVORO N. 41 del 30 Ottobre 2015 - disponibile in vendita singola o  nel superconveniente abbonamento

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