Importante pronuncia della Cassazione nella sentenza n. 12276 del 12 giugno scorso: la Suprema Corte ha ritenuto legittima l’imputazione alla società contribuente delle movimentazioni bancarie, per cifre ingenti, riscontrate sui conti dell’amministratore e dei suoi familiari, “non risultando forniti da questi ultimi elementi di prova di segno contrario, idonei a superare la presunzione legale suindicata”.
IL CASO
Il contenzioso origina dall’impugnazione di un avviso di accertamento a fini IVA emesso nei confronti di una Srl, a seguito dell’esame della contabilità aziendale e di indagini finanziarie sui conti degli amministratori e dei loro familiari. L'atto impositivo veniva impugnato dalla contribuente dinanzi alla CTP di Potenza, che accoglieva parzialmente il ricorso, dichiarando non dovute le sanzioni e gli interessi per il mancato versamento dell'IVA risultante dalle liquidazioni trimestrali, ed annullando, nel resto, l'avviso di rettifica impugnato.
Da qui la prosecuzione del giudizio innanzi alla CTR della Basilicata che ribadiva la legittimità della pretesa; a giudizio della regionale, le movimentazioni riscontrate dai verbalizzanti, sui conti bancari intestati all'amministratore della società ed ai suoi familiari, non erano sufficienti a consentire all'Amministrazione finanziaria di imputare alla società l'imposta evasa.
L’Agenzia delle Entrate, avverso la citata sentenza, formulava ricorso per cassazione denunciando la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51,
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IL CASO
IL COMMENTO
Accertamento bancario: quadro normativo, rassegna giurisprudenziale
Sulla configurabilità di una doppia presunzione
La sentenza annotata
IL TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA
1) 1. ACCERTAMENTO BANCARIO: QUADRO NORMATIVO, RASSEGNA GIURISPRUDENZIALE
Il disposto degli articoli 32, primo comma, DPR n. 600 del 1973 e 51, secondo comma, DPR n. 633 del 1972 consente di porre a base della rettifica i dati concernenti qualsiasi rapporto intrattenuto dal contribuente (direttamente o per interposta persona) con gli intermediari creditizi quando egli non dimostri di averne tenuto conto nelle relative dichiarazioni o che fossero per esse irrilevanti.
In virtù di tale disposizione i versamenti ed i prelevamenti bancari danno origine ad una presunzione legale relativa di maggiori ricavi o di maggiori imponibili IVA non dichiarati (salvo la prova di determinate circostanze contrarie); si tratta di presunzione che la legge trae da un fatto noto (versamento o prelevamento bancario) per risalire ad un fatto ignoto (occultamento di imponibile), dispensando da qualunque prova il fisco a cui favore è stabilita
La Corte costituzionale ha dichiarato la legittimità costituzionale della citata disposizione (Corte Cost., 8 giugno 2005, n. 225) chiarendo che «… Una presunzione siffatta non appare, poi, lesiva del canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione, non essendo manifestamente arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati dai conti correnti bancari effettuati da un imprenditore siano stati destinati all’esercizio dell’attività d’impresa e siano, quindi, in definitiva, detratti i relativi costi, considerati in termini di reddito imponibile. Deve, infine, escludersi la violazione del principio di eguaglianza in danno dei titolari di conti bancari, essendo la disponibilità di tali conti elemento idoneo a legittimare il rilievo meramente probatorio attribuito al prelievo non giustificato di somme»
La prassi amministrativa (Circolare del 19 ottobre 2006, n. 32) e la giurisprudenza ormai costante ritengono che pur in assenza di un’espressa disposizione normativa, risulta ormai fuor di dubbio l’estendibilità delle indagini ai conti di “terzi”, ossia di soggetti non direttamente interessati dall’attività di controllo.
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