Ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato ogni volta che venga a cessare - con il rapporto di lavoro subordinato - anche il vincolo associativo, si applica lo Statuto dei lavoratori, ma con esclusione dell'art. 18. Questo viene ribadito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 11548 del 4 Giugno 2015.
IL CASO
Il Tribunale dichiarava la nullità del provvedimento di esclusione da socio, con contestuale licenziamento, adottato dalla società cooperativa nei confronti del lavoratore e condannava la società al pagamento dell’indennità sostitutiva della reintegra pari a quindici mensilità, ex art. 18 St. lav., essendo incontestato il requisito dimensionale.
Veniva proposto appello dalla società e la Corte, in parziale riforma della decisione di primo grado, riteneva che fosse applicabile la tutela obbligatoria e non già quella reale ex art. 18 St. lav. e condannava la società al pagamento di sei mensilità di retribuzione in luogo dell’indennità sostitutiva della reintegra.
Il lavoratore propone ricorso per Cassazione, con l’unico motivo, ossia denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 142 del 2001 e deduce che la Corte di merito, nel confermare la declaratoria di nullità della delibera di esclusione da socio e del contestuale licenziamento, avrebbe dovuto applicare l’articolo 18 della L. 300/1970.
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, applicando il principio consolidato giurisprudenziale: "Ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato si applica la legge 20 maggio 1970 n. 300, con esclusione dell’art. 18, ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo".
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Indice
IL CASO
IL COMMENTO
1. L. 142/2001: normativa in materia di socio di cooperativa
1.1. Orientamenti giurisprudenziali sul lavoro del socio di cooperativa
1. 2 Orientamenti giurisprudenziali sul licenziamento del socio di cooperativa
IL TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA
1) L. 142/2001: NORMATIVA IN MATERIA DI SOCIO DI COOPERATIVA
Giova, in proposito, premettere come con la L. 3 aprile 2001, n. 142 il legislatore abbia dato vita ad una incisiva riforma della cooperazione di lavoro, introducendo, e per la prima volta, un compiuto sistema di diritti e di garanzie per il socio lavoratore ed attribuendo a tale rapporto una espressa qualificazione giuridica, idonea a far configurare il lavoro cooperativo come rapporto speciale, distinto tanto dal lavoro puramente associativo quanto dal lavoro solo subordinato.
In particolare, il legislatore, prevedendo che "il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi ì rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali" (così l'art. 1, comma 3, come mod. dall’art. 9 della L. n. 30 del 2003 art. 9), ed incentrando su tale fondamentale norma di qualificazione gli ulteriori svolgimenti della posizione giuridica del socio lavoratore, ha definitivamente ratificato la possibilità di rendere compatibili, anche nelle cooperative di lavoro, mutualità e scambio, ridimensionando la portata di una concezione puramente associativa del fenomeno cooperativo, come espressa dalla tradizionale formula del socio "imprenditore di se stesso", che meritava ormai di essere riconsiderata alla luce della assai precaria tutela che l'ordinamento delle società assicurava alla prestazione di lavoro.
La configurazione del lavoro cooperativo come rapporto qualificato dal concorso di una molteplicità di cause negoziali collegate (e, quindi, dalla presenza di un rapporto di lavoro, subordinato, autonomo o in qualsiasi altra forma, a latere di quello associativo) segna, quindi, il definitivo abbandono dell'idea (che era stata magna pars dell'elaborazione giurisprudenziale della materia: ad iniziare da SU n. 1530/1989) per cui l'attuazione dello scopo mutualistico non si realizza attraverso un rapporto di scambio ulteriore rispetto al contratto sociale e non è, pertanto, configurabile un rapporto di lavoro, né subordinato, né autonomo, se l'attività del socio è finalizzata, attraverso l'esecuzione di prestazioni previste dal patto sociale e dirette al perseguimento di fini mutualistici, all'adempimento del contratto di società.
Una concezione - giova rammentare - che la giurisprudenza stessa non aveva mancato di avvertire come progressivamente inadatta a cogliere l'evoluzione del fenomeno cooperativo (nel momento stesso in cui aveva esteso la competenza del giudice del lavoro alle controversie fra la società ed i soci: Sezioni Unite n. 10906/1998) e che non aveva impedito, comunque, che si alimentasse una progressiva incertezza circa la qualificazione giuridica del lavoro cooperativo, per come testimoniava il proliferare di un contenzioso alimentato dalla progressiva sottoprotezione cui erano esposti i soci lavoratori, e che si dilatasse la cooperazione fraudolenta, fonte di discredito per l'immagine stessa della cooperazione e di fondate preoccupazioni circa il rispetto del principio di concorrenza.
La L. n. 142 del 2001, innovando il tradizionale quadro di riferimento del lavoro nelle società cooperative, ha i
ntrodotto in favore dei soci un complesso di tutele minime ed inderogabili che, seppure non retroattive, non possono che estendersi a tutte le situazioni giuridiche che si maturino nella vigenza della legge stessa e ha provveduto a dare al lavoro cooperativo una nuova configurazione giuridica, nella quale vengono attratti tutti i rapporti contrattuali in essere al tempo della sua entrata in vigore
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