Secondo la Cassazione non può dirsi fiscalmente residente in Italia il soggetto che, pur mantenendo in Italia relazioni affettive e familiari, abbia trasferito la propria residenza all’estero. Difatti, tali aspetti pur rilevanti non sono prioritari ai fini probatori della residenza fiscale, venendo in rilievo solo unitamente ad altri criteri probanti che univocamente attestino il luogo con il quale il soggetto ha più stretto collegamento. È quanto emerge dalla sentenza n. 6501/15, pubblicata il 31 marzo scorso dalla Sezione Tributaria della Suprema Corte , a conferma dei precedenti giudizi di merito.
IL CASO
L’Agenzia delle entrate notificava a un cittadino elvetico, già cittadino italiano iscritto all’AIRE dal 1978, un avviso di accertamento per omessa dichiarazione dei redditi da lavoro autonomo (nella specie compensi d’amministratore unico non dichiarati in Italia) ex art.2, comma 2 bis, del DPR 917/86. Investiti della questione, i giudici tributari disattendevano le argomentazioni del Fisco e per l’effetto annullavano l’avviso impugnato. In particolare, la C.T.R. riteneva che il contribuente non potesse essere considerato cittadino italiano, ai sensi dell’art. 2, comma 2bis, del TUIR. In virtù di detta norma, i cittadini italiani, seppure cancellati dall’AIRE, se trasferiti in Stati con regime fiscale privilegiato, si presumono residenti in Italia, salvo prova contraria. A tal proposito, la C.T.R. riteneva assolto l’onere probatorio da parte del contribuente, che aveva dimostrato di essere cittadino elvetico da molti anni, di svolgere lì un’attività di lavoro dipendente a tempo indeterminato (con orario di otto ore giornaliere) e di avere in Italia solo un immobile locato a uso archivio. La controversia approda in Cassazione su ricorso dell’Ufficio che lamenta la violazione del citato articolo 2, visto che il giudice d’appello non avrebbe, a suo dire, valutato la rilevanza dei legami affettivi e personali per il riconoscimento della residenza in Italia ai fini fiscali.
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1. residenza fiscale delle persone fisiche: quando puo’ dirsi effettivo il trasferimento all’estero
1) La sentenza n. 6501 del 31 marzo 2015
I giudici di Piazza Cavour hanno respinto il ricorso dell’Agenzia ricordando che i criteri per la determinazione della residenza fiscale delle persone fisiche sono dettati dall’articolo 2 del TUIR, il quale stabilisce che, ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti nello Stato le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta si trovino in una delle seguenti condizioni (tra loro alternative):
- sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente;
- hanno la residenza o il domicilio nel territorio dello Stato ai sensi del codice civile.
Il comma 2bis dell’articolo 2, invece, scrivono gli ermellini, prevede una presunzione relativa di residenza per i cittadini italiani che trasferiscono la propria residenza o il proprio domicilio in Paesi a fiscalità privilegiata.
Il contribuente che intende confutare le accuse del Fisco italiano deve provare di risiedere effettivamente all’estero,
A tal proposito, puntualizza la Corte, il centro degli interessi vitali del soggetto va individuato dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi è esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi. Le relazioni affettive e familiari - la cui centrale importanza è invocata in questo caso dalla ricorrente Agenzia delle Entrate - che cita alcune pronunce di legittimità - non hanno una rilevanza prioritaria ma assumono rilievo solo insieme ad altri probanti criteri che attestino il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento.
Nel caso di specie, conclude la Corte, la CTR ha adeguatamente motivato, dando giusta prevalenza a elementi decisivi come la residenza in Svizzera da tanti anni, il passaporto elvetico, una attività di lavoro dipendente in Svizzera ecc..
Da qui la scelta di respingere le doglianze dell’Ufficio e di confermare l’illegittimità dell’avviso impugnato.