Sul tema del contraddittorio obbligatorio nell’ambito del procedimento tributario si è registrata inizialmente una tendenza restrittiva della giurisprudenza di legittimità. Infatti la Cassazione ha più volte chiarito che in ambito tributario non sussiste un obbligo generalizzato di effettuazione del contraddittorio, stabilendo che l’Amministrazione non è sempre tenuta a interpellare il cittadino, neppure nel caso di incertezza intrinseca della dichiarazione dei redditi (cfr. Cass. 26316 del 2010).
La partecipazione del privato al procedimento amministrativo-tributario, quindi, costituisce un’eventualità, essendo rimessa all’Amministrazione la scelta di interpellare preventivamente, ai soli fini istruttori, il contribuente (cfr Cassazione sentenze nn. 16874/2009, 20268/2008, 10964/2007 e 16597/2003).
In seguito, soprattutto in virtù dell’influenza dei principi comunitari recepiti dalla sentenza a SS.UU. n. 19667 del 18 settembre 2014, si è sviluppato un filone che tende a dilatare l’ambito di applicazione del contraddittorio, da instaurarsi ogniqualvolta la pubblica amministrazione sia in procinto di adottare un provvedimento pregiudizievole per la sfera giuridica del privato.
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1) Redditometro: il punto della giurisprudenza in tema di contraddittorio obbligatorio
In tema di redditometro ante modifiche (con il nuovo art. 38, comma 7 del D.P.R. n. 600 del 1973, infatti, l’obbligatorietà del contraddittorio è stata espressamente e direttamente prevista in via legislativa) "il contraddittorio con il contribuente rappresentava momento indefettibile del procedimento amministrativo, non ammettendo equipollenti come, ad esempio, l’invio di un questionario." Lo ha stabilito la Ctr della Lombardia, con la sentenza n. 6783 deL 16 dicembre 2014 con cui ha annullato gli avvisi di accertamento per incrementi patrimoniali emessi a carico di un contribuente. In particolare i giudici di appello, nel confermare la pronuncia di primo grado, hanno ritenuto che negli accertamenti sintetici il contraddittorio rappresenta un momento necessario di riequilibrio delle posizioni delle parti in ossequio ai principi del giusto processo e dello Statuto dei contribuenti.
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2) Redditometro e principi comunitari
3) Retroattività in tema di redditometro: Ordinanza Cassazione 3885/2016
Sin dalla sua introduzione avvenuta con il D.L. n. 78 del 2010 il “nuovo” redditometro ha posto da subito problemi, in ordine soprattutto alla sua applicabilità retroattiva, ovvero ai rapporti ancora pendenti al momento della sua introduzione. Secondo l’orientamento che ormai può dirsi consolidato il nuovo strumento non sarebbe suscettibile di applicazione retroattiva per una serie di ragioni.
In primo luogo è necessario sottolineare che lo stesso legislatore ha precisato l’ambito temporale di applicazione del “nuovo redditometro”. L’art. 22, comma 1, del citato DL n. 78 del 2010 stabilisce, infatti, che le modifiche apportate all’art. 38 del DPR n. 600 del 1973 hanno effetto “per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto” (vale a dire con esclusione degli accertamenti relativi a periodi d’imposta anteriori al 2009).
Inoltre, nel sistema attualmente vigente, come delineato dal DM 24 dicembre 2012, non si riscontra una disposizione analoga a quella prevista - sempre in tema di accertamento sintetico - dall’art. 5, comma 3, ultimo periodo del DM 10 settembre 1992, il quale – nel far salvi gli accertamenti emanati sulla base del precedente DM 21 luglio 1983 - ha previsto che “Il contribuente può, tuttavia, chiedere, qualora l’accertamento non sia divenuto definitivo, che il reddito venga rideterminato sulla base dei criteri indicati nell’art. 3 del presente decreto”.
Al contrario, anche il DM 24 dicembre 2012 – emanato in attuazione delle nuove norme in materia di accertamento sintetico – ribadisce che le disposizioni in esso contenute “si rendono applicabili alla determinazione sintetica dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2009”. In definitiva, sia il limite temporale individuato dallo stesso DL n. 78, sia l’assenza di una previsione analoga a quella contenuta nel DM del 1992 inducono di per sé ad escludere un’applicazione retroattiva del “nuovo redditometro”.
L'ordinanza n. 3885 del 26 Febbraio 2016 della Cassazione afferma che allo stato attuale non esiste nell’ordinamento tributario una clausola generale che impone il contraddittorio endoprocedimentale, tanto è vero che in tema di redditometro c’è voluta una norma (art. 22 del D.L. n. 78 del 2010) che lo imponesse per gli accertamenti relativi alle annualità 2009 e successive. Tale previsione rappresenta chiaramente una disposizione di diritto transitorio che identifica la disciplina applicabile nel caso di successione nel tempo di più norme.
La pronuncia definiva il caso di un avviso di accertamento da redditometro emesso per l’anno 2007 nei confronti di un contribuente. Giunto in contenzioso l’atto veniva annullato in promo grado in quanto emesso in carenza del preventivo contraddittorio.La Ctr della Campania, in accoglimento dell’appello dell’Agenzia delle Entrate, riformava la decisione di primo grado ritenendo che il nuovo art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973 (come riformato per effetto dell’art. 22 del D.L. n. 78 del 2010) che prevede il contraddittorio obbligatorio, non potesse avere applicazione retroattiva.Il contribuente ha opposto ricorso per cassazione.
Sul caso la Suprema corte ha concluso che la disciplina in tema di “nuovo redditometro” (e con essa l’obbligo di contraddittorio preventivo a pena di nullità) non è applicabile retroattivamente in quanto è la stessa legge (con disposizione di diritto transitorio) a specificarne l’ambito di applicazione (per gli accertamenti relativi all’anno 2009 e seguenti).
Di conseguenza è stato rigettato il motivo di ricorso del contribuente; nello specifico l’accoglimento del ricorso con rinvio ad altra sezione della Ctr si è avuto in quanto la pronuncia impugnata non ha preso in considerazione le giustificazioni fornite dal contribuente limitandosi a statuire che la documentazione fornita era inidonea in quanto il contribuente (con redditi dichiarati pari a zero) non aveva capacità reddituale per far fronte ai finanziamenti contratti.