La Corte Costituzionale è intervenuta sull'imposta che l'ex Ministro dell'Economia Giulio Tremonti aveva ribattezzato “Robin tax”. Per chi non ricordasse, la Robin tax è stata istituita dall'art. 81 commi 16, 17 e 18 del Decreto Legge n. 112/2008.
La norma aveva lo scopo di colpire l'extra-gettito che le società la cui attività comportava:
a) ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi;
b) raffinazione petrolio, produzione o commercializzazione di benzine, petroli, gasoli per usi vari, oli lubrificanti e residuati, gas di petrolio liquefatto e gas naturale;
c) produzione o commercializzazione di energia elettrica
con un'addizionale IRES pari al 5,5%, poi successivamente portata al 6,5%.
L'altro presupposto dell'imposta, così come era stata inizialmente modellata, era la realizzazione di un volume d'affari superiore a 25 milioni di euro nell'arco di un periodo d'imposta.
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1) I motivi dell’incostituzionalità della Robin Tax
Punto cardine del modello impositivo era il divieto di traslazione dell'imposta sui consumatori previsto dal comma 18 del citato art. 81. Anche questo profilo è stato valutato attentamente dalla Consulta.
L'idea della Robin tax era di per sé interessante; durante un periodo caratterizzato da alti costi del greggio e, in generale, dei prezzi del settore energetico, in considerazione della complessa congiuntura economica che colpiva (e colpisce) le fasce più deboli della popolazione, il Legislatore aveva pensato di “rubare ai ricchi” (l'oligopolio dell'energia).
Come sappiamo Robin Hood era un fuorilegge, e così ha deciso pure la Corte Costituzionale. Diversi sono i profili del modello d'imposta che sono risultati incompatibili con la Carta Costituzionale. Quelli che risultano essere di maggiore interesse sono quelli legati all'incidenza dell'addizionale e al presupposto del prelievo.
In primo luogo le motivazioni della Corte hanno evidenziato come l'addizionale sia stata istituita a fronte di una situazione contingente quale quella della crisi economica e dell'aumento dei prezzi del greggio. Ciononostante la struttura dell'imposta non ha carattere temporaneo o limitato ma è assimilabile ad un tributo autonomo ed ordinario. Come noto, l'articolo 77, comma 2 della Costituzione prevede che solo in casi straordinari di necessità ed urgenza sia possibile utilizzare lo strumento del decreto legge. In questi casi, tuttavia, la Consulta ha ricordato come il sindacato sulla legittimità costituzionale sia possibile solo nei casi di:
1. evidente mancanza dei presupposti di necessità ed urgenza;
2. manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della valutazione di tali criteri.
In secondo luogo la Consulta ha valutato la conformità dell'imposta al principio della capacità contributiva (art. 53, Cost.) che impone una struttura dell'imposta ragionevole, congrua, coerente e proporzionale.
La norma istitutiva della Robin tax prevede che “l'aliquota dell'imposta sul reddito delle società [...] approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è applicata con una addizionale di 5,5 punti”.
Il presupposto del prelievo è, come detto, la generazione di extra-profitti; sul punto i Giudici hanno però osservato che non sussisterebbe alcun rialzo straordinario dei profitti della filiera dei prodotti petroliferi (ricordiamo infatti che, successivamente all'entrata in vigore della norma, il prezzo del greggio è diminuito).
Oltre a questa osservazione è stato valutato il fatto che sia il presupposto sia il prelievo non sono “espressi secondo gli stessi criteri attributivi di valore”: infatti, l'addizionale colpisce l'intero reddito e non solamente gli extra-profitti, con la conseguenza che la struttura dell'imposta risulta irragionevole, incongrua e sproporzionata. La norma sarebbe stata valutata in modo diverso se la struttura avesse previsto una tassazione separata dell'eventuale reddito suppletivo connesso alla posizione privilegiata a fronte ad una congiuntura economica persistente e favorevole al contribuente.
Venendo ora alla questione inerente agli effetti retroattivi della dichiarazione di incostituzionalità della Robin tax, la Corte Costituzionale ha risolto la questione chiamando in causa il novellato art. 81 (quello sul pareggio di bilancio, per intenderci). La modifica del percorso logico-giuridico della Consulta per giustificare la regolamentazione degli effetti della sentenza appare di sicuro interesse. Nella storia della giurisprudenza della Corte si faceva riferimento alla cosiddetta “ragion fiscale” (che spesso ha consentito deroghe a regole di diritto comune), ora il passaggio ha un fondamento diverso, il pareggio di bilancio. Nel caso in cui i contribuenti richiedessero la restituzione di quanto versato a titolo di Robin tax, il bilancio statale sarebbe privato di un'entrata che, secondo le stime dell'Autorità per l'Energia, nel biennio 2011-2012 è stata pari a 2,8 miliardi di euro.
In particolare, la Corte afferma che gli effetti della rimozione con effetto retroattivo della normativa impugnata ricadrebbero sulle fasce più deboli della popolazione causando una irragionevole redistribuzione della ricchezza ed una violazione dei doveri di solidarietà sociale imposti dagli artt. 2 e 3 della Carta Costituzionale.
In conclusione, sebbene non sia possibile valutare se la traslazione dell'imposta sul consumatore permanga o meno (ricordiamo infatti che lungo è stato lo scontro tra l'Autorità per l'Energia e le società del settore sul divieto di traslazione dell'imposta previsto dal comma 18, art. 81, D.L. n. 112/2008), la pronuncia è stata quantomai opportuna e condivisibile.