IL CASO
La Corte d'appello respinge la domanda proposta dal lavoratore nell’ottenere il rigetto del licenziamento per giustificato motivo oggettivo ed il risarcimento del danno per mobbing ed, invece, accoglie la domanda di risarcimento del danno da dequalificazione sofferto dal lavoratore.
Nei confronti di questa sentenza, il lavoratore propone ricorso per cassazione, affidandosi ad un unico motivo, ossia il lavoratore-ricorrente lamenta vizio di motivazione nella parte in cui l'impugnata sentenza, pur riconoscendo il demansionamento patito dal lavoratore (inquadrato nel 7° livello CCNL metalmeccanici), non ne ha però tenuto conto ai fini dell'accoglimento della domanda di risarcimento dei danni da mobbing e dell'impugnativa di licenziamento.
Sul punto, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso, rifacendosi ad un principio giurisprudenziale consolidato, secondo cui il divieto ex art. 2103 c.c. di variazioni in peius delle mansioni opera anche quando al lavoratore, pur nella formale equivalenza delle precedenti e delle nuove mansioni, siano assegnate di fatto mansioni sostanzialmente inferiori quanto a contenuto professionale.
IL COMMENTO
1. Mobbing: nozione ed ipotesi
A questo riguardo deve rammentarsi che, pur in assenza di una definizione legislativa, il concetto di mobbing è stato puntualmente circoscritto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione; infatti, la giurisprudenza di legittimità, come anche la presente pronuncia, ha affermato l'esigenza di accertare la sussistenza "di una condotta sistematica e protratta nel tempo, che concreta, per le sue caratteristiche vessatorie, una lesione dell'integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro, garantite dall’art. 2087 c.c.; tale illecito, che rappresenta una violazione dell'obbligo di sicurezza posto da questa norma generale a carico del datore di lavoro, si può realizzare con comportamenti materiali o provvedimenti del datore di lavoro indipendentemente dall'inadempimento di specifici obblighi contrattuali previsti dalla disciplina del rapporto di lavoro subordinato. La sussistenza della lesione del bene protetto e delle sue conseguente dannose deve essere verificata considerando l'idoneità offensiva della condotta del datore di lavoro, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell'anione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specialmente da una connotazione emulativa e pretestuosa, anche in assenza di una violazione di specifiche norme di tutela del lavoratore subordinato" (Cass. Civ., Sez. Lav., 6 marzo 2006, n. 4774).
La giurisprudenza ha anche precisato che "per "mobbing" si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.
Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti:
- la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio;
- l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente;
- il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio" .(...)
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1) Il demansionamento professionale è mobbing, se è provato e da diritto al risarcimento
(PDF 8 pagine)
Sommario:
IL CASO
IL COMMENTO
- Mobbing: nozione ed ipotesi
- Demansionamento ed art. 2103 c.c.
- Art. 2103 c.c. e riclassamento delle mansioni
- Demansionamento e danno
IL TESTO INTEGRALE DELLA SENTENZA
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