In presenza di comportamenti elusivi l’Amministrazione finanziaria può revocare i benefici fiscali, specie se il contribuente abbia modificato la propria ragione sociale al solo scopo di fruire di un agevolazione, diversamente non spettante, in quanto destinata a imprese con determinati requisiti. La formale spettanza di un risparmio di imposta infatti è un presupposto ineliminabile dell'abuso del diritto e non ne rappresenta un limite.
È quanto emerge dall’ordinanza 11 novembre 2014 n. 24027 della Corte di Cassazione (Sezione Tributaria) che ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
IL CASO
La controversia origina dall’impugnazione di un avviso di accertamento con cui l’Ufficio di Prato, motivando dall’abuso del diritto, ha disconosciuto ad una società talune agevolazioni fiscali.
A parere dell’Ufficio finanziario, la contribuente aveva acquistato l’intero capitale di una SNC e ne aveva poi cambiato la ragione sociale e l’oggetto unicamente per avere accesso agli incentivi fiscali previsti dalla Legge n. 383 del 2001. In particolare l'oggetto sociale era passato “ da produzione, stiratura e rifinizione di capi di biancheria ... ad attività di costruzione, acquisto, vendita, locazione e gestione di immobili, nonché tutte le operazioni immobiliari e finanziarie in genere". Contestualmente la società aveva acquistato (tra l'altro) due capannoni artigianali beneficiando dell’agevolazione fiscale cd Tremonti bis. Tutti elementi che, a detta dell’Ufficio, dimostravano che l'operazione era stata concepita allo scopo di fruire delle agevolazioni, diversamente non spettanti, in quanto destinate ad imprese già operanti nell'ottobre 2001.
Interessata della questione, la Commissione Tributaria Provinciale di Firenze ha annullato la ripresa fiscale. Di poi l’appello proposto dalla difesa erariale; la C.T.R. ha riformato integralmente la sentenza di primo grado, argomentando sulla natura elusiva dell’operazione, non opponibile all’Amministrazione finanziaria ex art.37 dpr 600/73 .
A questo punto la controversia è approdata in Cassazione.
IL COMMENTO
1. ABUSO DEL DIRITTO: EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE
Con la sentenza Halifax (Corte di giustizia, sentenza 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax), i giudici comunitari hanno per la prima volta riconosciuto in modo espresso la legittimità del recupero dell’imposta sul valore aggiunto nell’ipotesi in cui un contribuente, violando i principi fissati dalla normativa comunitaria, ponga in essere un’operazione elusiva al fine di conseguire un indebito vantaggio fiscale.
Successivamente la Corte di Cassazione ha ritenuto applicabile il principio del divieto di abuso di diritto anche con riferimento all’ordinamento nazionale ed in particolare alle imposte dirette, individuandone il fondamento nell’articolo 53 della Costituzione (si vedano Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenze nn. 30055, 30056 e 30057 del 23 dicembre 2008).
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, facendo seguito ad alcune pronunce che avevano recepito il principio di fonte comunitaria, ha affermato come l’abuso di diritto trovi diretto fondamento nei principi costituzionali e, dunque, si impone in tutto l’ordinamento tributario. I giudici di legittimità, infatti, hanno precisato che “la fonte di tale principio, in tema di tributi non armonizzati, quali le imposte dirette, va rinvenuta non nella giurisprudenza comunitaria quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano” (cfr. Cassazione SS.UU. sentenze 23 dicembre 2008, nn. 30055, 30056 e 30057). I principi della capacità contributiva e della progressività dell’imposizione, infatti, ostano al conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti attraverso strumenti giuridici utilizzati essenzialmente per ottenere un risparmio d’imposta .
La Suprema Corte ha chiarito come la circostanza “che una specifica norma antielusiva abbia espressamente preso in considerazione uno dei benefici fiscali che tipicamente derivano dal negozio abusivo non vuol dire, pertanto, che il giudice tributario non possa, prendendo atto nella specie della valutazione espressa di elusività dell’operazione da parte del legislatore, utilizzare lo strumento dell’inopponibilità all’amministrazione (adottato dallo stesso legislatore in numerose norme specifiche di carattere antielusivo, quali l’art. 10, comma primo, della legge n. 408 del 1990 - nel testo dapprima sostituito dall’art. 28, comma 1, della legge n. 724 del 1994 e poi modificato all’art. 3, comma 26, della legge n. 662 del 1996 - e l’art. 37-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, introdotto dall'art. 7 del d.lgs. n. 38 del 1997) anche per ogni altro profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall’operazione elusiva, commessa anche in data anteriore all'entrata in vigore della norma suddetta” (cfr. Cass, Sezioni Unite, sentenza 23 dicembre 2008 n. 30055).
In altri termini, la Corte ha riconosciuto valenza generale alla clausola dell’abuso di diritto, ritenendola immanente all’ordinamento e preesistente anche all’introduzione di norme specifiche quali l’articolo 37-bis del D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 600 . (.....)
L'articolo continua dopo la pubblicità