La procedura di interpello di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 8, costituisce per il contribuente una facoltà che consente di conseguire (in caso di risposta positiva dell'Ufficio) una certezza nei rapporti con la Amministrazione, che non può modificare, repentinamente, la posizione espressa in prima battuta. Tuttavia, il contribuente non ha l’onere di presentare, preventivamente, istanza di interpello disapplicativo per il superamento delle presunzioni poste a suo carico dalle disposizioni antielusive. La prova contraria può essere data anche in giudizio, atteso che il principio di effettività di cui all'art. 53 Cost. impone di limitare nel più ristretto ambito le presunzioni juris et de jure. Questo, in sintesi, il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte nella sentenza n.16183 del 15 luglio 2014.
IL CASO
Il contenzioso nasce dall’impugnazione di un provvedimento di diniego con cui l’Ufficio di Latina negava a una società il rimborso iva perché ritenuta non operativa. In particolare la società aveva omesso di presentare l’istanza di disapplicazione, di cui all’art. 37 bis, comma 8, D.P.R. n. 600/73, art. 30 della Legge n. 724/94, con riferimento alla disciplina antielusiva sulle società di comodo, da qui la scelta dell’Amministrazione di negare il rimborso Iva in forza del comma 4 del citato articolo.
Avverso il citato provvedimento il legale rappresentante della Società proponeva ricorso eccependo di non aver conseguito ricavi perché la costruzione dell’impianto da utilizzare per lo svolgimento dell’attività d’impresa si era protratta per più anni.
Con sentenza n. 430/02/10 pronunciata il 24 settembre 2010 e depositata il 29 novembre 2010, la Commissione Tributaria Provinciale di Latina, Sezione II, ha accolto il ricorso e compensato le spese.
In particolare, i primi giudici osservavano che la Società, benché costituita il 4 marzo 2002, “a tutt’oggi” non aveva ancora avviato la sua attività produttiva prevista dall’oggetto sociale; tale inattività non era dovuta a scopi elusivi ma era semmai la conseguenza del protrarsi della costruzione della struttura operativa, dovuto al susseguirsi di eventi indipendenti dalla volontà del ricorrente.
La Società, a giudizio del Collegio, non doveva essere considerata società non operativa, trovandosi ad operare in un periodo di non normale svolgimento dell’attività economica.
Stesso verdetto in appello; la difesa erariale articolava il ricorso per Cassazione in un unico motivo: Violazione e/o falsa applicazione articolo 30, comma 4, della Legge n. 724/1994.
La citata norma prevede che: “Per le società ed enti non operativi, il credito Iva risultante dalla relativa dichiarazione annuale non è ammesso a rimborso, né può costituire oggetto di compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997 n. 241 o di cessione a terzi.”
L’Ufficio obietta che la Società, iniziata l’attività nel corso dell’anno 2002, era sin dalla sua costituzione improduttiva di ricavi perché effettuava esclusivamente operazioni di acquisto per poi maturare Iva a credito, nei periodi di imposta successivi.
Non vi è alcun dubbio che la Società, rientrando tra quelle destinatarie della normativa di cui alla Legge n. 724/94, fosse tenuta a presentare istanza di interpello antielusivo, al fine di dimostrare la propria posizione.
L’omessa presentazione dell’istanza, sottolinea l’ufficio, è di impedimento alla richiesta di rimborso del credito Iva e alla sua eventuale compensazione nel modello F24; le società e gli enti non operativi, infatti, trovandosi in tali fattispecie, possono solo riportare il credito all’anno successivo.
IL COMMENTO
1. PRASSI AMMINISTRATIVA: IMPUGNABILITA’ DEL DINIEGO DELL’ISTANZA DI DISAPPLICAZIONE
2. IMPUGNABILITA’ DEL DINIEGO: OBBLIGO O FACOLTA’ PER IL CONTRIBUENTE?
3. LA SENTENZA ANNOTATA
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1) Impugnabilità: obbligo o facoltà del contribuente ?
La disciplina fiscale delle società non operative è stata introdotta nell’ordinamento italiano dall’articolo 30 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, successivamente modificata dall’art. 35, commi 15 e 16, del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, (convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248) ; dall’art. 1, commi 128 e 129, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 ; e, da ultimo, dall’art. 2, commi da 36-decies a 36-duodecies, del decreto legge 13 agosto 2011, n 138 (convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148) che ha previsto l’ampliamento della categoria delle società non operative anche ai soggetti in «perdita sistematica».
Le norme di cui sopra sono state introdotte allo scopo di contrastare le c.d. «società di comodo» e, in particolare, disincentivare l’utilizzo strumentale della forma societaria per usufruire di indebiti vantaggi fiscali (spesso vengono intestati alla società determinati beni, immobili, automobili di lusso, imbarcazioni, aeromobili, ecc., che, in realtà, permangono nella disponibilità dei soci o dei loro familiari). Di norma, il vantaggio fiscale si sostanzia nella deduzione dell’Iva assolta sull’acquisto dei predetti beni, nonché nella detrazione del relativo costo dal reddito d’impresa.
Con specifico riferimento all’istanza di disapplicazione si evidenzia che, secondo le più recenti indicazioni di prassi, la stessa, ancorché obbligatoria, non costituisce imprescindibile presupposto ai fini della disapplicazione della normativa in esame; l’omessa presentazione della stessa, infatti, non preclude al contribuente la possibilità di impugnare l’avviso di accertamento nel quale si contesti la disapplicazione del regime delle società non operative. (....)
Secondo la giurisprudenza di legittimità (Cassazione n. 8663/2011, 5843/2012 e 20394/2012), il diniego di disapplicazione della normativa sulle società di comodo va qualificato come diniego di agevolazione fiscale, e dunque rientra tra gli atti espressamente previsti come impugnabili dall'art. 19, comma 1 lettera h) del D.Lgs. n. 546/1992.
Il giudice tributario innanzi a cui è impugnato il diniego deve valutare la legittimità dell'atto e decidere nel merito della domanda di disapplicazione, attribuendo, ove ne ravvisi i presupposti, l'agevolazione fiscale richiesta.
L'inquadramento giuridico del diniego di disapplicazione tra gli atti tipici previsti dall'art. 19, comma 1 del D.Lgs. n. 546/199 comporta che, in mancanza di sua impugnazione nei termini di legge, la posizione dell’Amministrazione si cristallizza e il suo diniego non può essere contestato dal contribuente in un momento successivo.
Così opinando, l'impugnazione dell'atto di diniego rappresenta un onere per il contribuente, la cui inosservanza rischia di pregiudicare la successiva difesa in giudizio.
Dalla tesi dell'impugnazione necessaria si è discostata un'altra sentenza della Suprema Corte, la n. 17010/2012, i cui principi sono stati peraltro ribaditi anche dalla recentissima sentenza n. 11929/2014.
In particolare, secondo la sentenza n. 17010/2012, l'atto di diniego non può essere compreso tra gli atti tipici di cui di cui all'art. 19, comma 1 del D.Lgs. n. 546/1992, posto che la disapplicazione di una norma antielusiva è un concetto tecnicamente differente dalla concessione di un'agevolazione fiscale.
Inoltre, l'atto di diniego non può essere nemmeno ricondotto nell'ambito della norma di chiusura sancita nella lettera i) del comma 1 del D.Lgs. n. 546/1992 (in base alla quale è impugnabile “ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l'autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarie”), visto che nessuna norma ne prevede l'impugnabilità.
Tuttavia, continua la Suprema Corte, secondo un orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità l'elenco degli atti impugnabili di cui all'art. 19 è suscettibile di interpretazione estensiva: in particolare sono stati ritenuti impugnabili (non obbligatoriamente, ma in via facoltativa) anche gli atti che, pur non essendo tipizzati nell'art. 19, portano a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, facendo sorgere in capo al contribuente stesso l'interesse (ex art. 100 c.p.c.) a chiarire la propria posizione riguardo a tale pretesa.
Analoghe considerazioni valgono anche per il diniego di disapplicazione, che “costituisce il primo atto con il quale l'amministrazione, a seguito di una fase istruttoria e di una valutazione tecnica, e con particolari garanzie procedimentali, porta a conoscenza del contribuente, in via preventiva, il proprio convincimento in ordine ad una specifica richiesta, relativa ad un determinato rapporto tributario, con l'immediato effetto di incidere, comunque, sulla condotta del soggetto istante in ordine alla dichiarazione dei redditi in relazione alla quale l'istanza è stata inoltrata.” (....)
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