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CASSAZIONE: L’ANTIECONOMICITÀ VA CIRCOSCRITTA ALLE IMPOSTE DIRETTE

Cassazione: l’antieconomicità va circoscritta alle imposte dirette

Sentenza della Corte di Cassazione n. 12502 del 4 giugno 2014 - Commento e analisi della giurisprudenza nazionale e comunitaria sui rilievi di antieconomicità in ambito II.DD. e detraibilità dell'IVA

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Nella sentenza n. 12502 del 4 Giugno 2014 la Corte di Cassazione ha ribadito che in condizioni normali non è consentito all'Amministrazione finanziaria rideterminare il valore delle prestazioni e dei servizi acquistati dall'imprenditore escludendo il diritto a detrazione IVA, se il valore sia ritenuto antieconomico e dunque diverso da quello da reputare normale o comunque tale da produrre un risultato economico; un diverso orientamento appare invece eccezionalmente ammesso allorché la riscontrata antieconomicità rilevi quale indizio di non verità della fattura, nel senso di non verità dell'operazione.
Pertanto le operazioni antieconomiche fra società appartenenti ad un medesimo gruppo possono essere disconosciute dall'Amministrazione finanziaria ai fini delle imposte dirette mentre tale asserita antieconomicità non è sufficiente per le rettifiche IVA sugli acquisti.
IL CASO
L’Agenzia delle Entrate impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Roma 5.9.2006 che, in conferma della sentenza C.T.P. di Roma n. 85/54/2003, ebbe a rigettare l'appello dell'Ufficio, così ribadendo l'illegittimità dell'avviso di accertamento ai fini IRPEG ed ILOR condotto per l'anno nonché dell'avviso di rettifica parziale IVA, in relazione al 1996, disconosciuta per L. 3.825 milioni circa e sanzionata per L. 7.654 milioni circa.
Ritenne la C.T.R. infondato il recupero a tassazione, imputato dall'Ufficio quanto al 1994:
  • il primo rilievo era relativo al costo di lavorazione incluso nelle rimanenze finali, asseritamente esposte per importi inferiori rispetto al computo D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 59;
  • il secondo rilievo non condiviso concerneva la deduzione di quota parte del compenso erogato a favore della API Raffineria Ancona s.p.a., ritenuta non inerente;
  • il terzo recupero aveva ad oggetto l'indebita deduzione di quote di ammortamento per L. 933 milioni circa, negandosi che il terreno su cui insistevano le stazioni di servizio fosse parte strutturale dell'impresa.
Per la C.T.R., tutti i rilievi dell'appellante avevano rinvenuto adeguata disamina, operando il rinvio a precedenti di merito quale richiamo alla condivisione del relativo fondamento, il recupero a tassazione del valore delle rimanenze finali non poteva basarsi su una portata, invero non cogente, di principi contabili elaborati dal Consiglio nazionale dei Dottori commercialisti e da quello dei ragionieri, la valutazione delle rimanenze era stata effettuata nel rispetto dell'art. 76 TUIR apprezzando i componenti di costo imputabili direttamente al processo produttivo e le disposizioni dell'accordo contrattuale stipulato con la società di raffinazione, secondo un criterio costante ed omogeneo, nessun componente di costo era risultato estraneo al processo produttivo in difetto dei presupposti del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, nè erano ingiustificate le spiegazioni sull'intensità d'uso degli impianti ed il conseguente più corto ciclo d'ammortamento.
La legittimità delle detrazioni IVA, per parte sua, derivava dalla riconosciuta inerenza dei costi dei servizi acquisiti.
Quanto poi alle quote d'ammortamento relative alle stazioni di servizio, si trattava di concetto da intendere in senso unitario, non potendosi scindere i componenti immobiliari, cioè fabbricati e terreni, dai macchinari di pompaggio finale, trattandosi di immobili altrimenti privi di autonomia funzionale. L'unico coefficiente di ammortamento valeva pertanto anche per serbatoi e condutture, oltre che erogatori di riserva.
Il ricorso dell’Agenzia delle entrate è affidato a sette motivi (...)

IL COMMENTO
1. L’ORIENTAMENTO DELLA GIURISPRUDENZA DI VERTICE
La Corte di Cassazione  ha più volte ribadito che ogni operazione commerciale o economica, rientra nella sfera esclusiva dell’imprenditore e il fisco non può entrare nel merito a meno che non vi siano elementi che dimostrano operazioni elusive o l’uso di fatture per operazioni inesistenti.
Le prestazioni di servizi che una società paga ad una propria controllata comportano, in ogni caso, la detraibilità dell’IVA anche se i costi sostenuti sono da considerarsi antieconomici; la Corte di cassazione ha affermato che l’Amministrazione finanziaria non può negare la detraibilità dell’IVA sulla base del fatto che i costi sostenuti sono troppo dispendiosi.
Nel caso in esame, infatti, il costo sostenuto è effettivo. La società contribuente ha dedotto in linea principale l’inammissibilità, sotto diversi profili, delle censure presenti nel ricorso ritenendo, in ogni caso, la loro infondatezza, in quanto l’Agenzia aveva, per un verso, evocato l’art. 75 del D.P.R. n. 917/1986, inapplicabile alla fattispecie e, per altro verso, tralasciato di considerare che l’art. 19 del D.P.R. 633/1972, richiedeva unicamente il requisito della inerenza dei costi ai fini della detraibilità dell’IVA relative alle operazioni di acquisto della parte contribuente, nemmeno ponendosi la questione della certezza del costo, non essendosi in presenza di operazioni inesistenti (...). 

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