Nella sentenza n. 9945 del 8 Maggio 2014 la Corte di Cassazione afferma che non integrano mai una colpa del lavoratore gli effetti della conformazione della condotta lavorativa ai canoni di cui all'art. 2104 c.c., coerentemente con il livello di responsabilità proprio delle funzioni e in ragione del soddisfacimento dell'interesse dell'azienda, la quale è tenuta a conoscere le modalità con cui i propri dipendenti lavorano.
IL CASO
La moglie di un lavoratore adiva il Tribunale per ottenere la condanna della società datrice del lavoro del marito, quale responsabile ai sensi dell'art. 2087 cod. civ., al risarcimento dei danni patrimoniali e morali derivanti dal decesso del congiunto, avvenuto per infarto del miocardio. A sostegno della domanda deduceva che il coniuge, svolgendo mansioni di quadro, si era trovato ad operare, negli ultimi mesi del suo rapporto di lavoro, in condizioni di straordinario aggravio psicofisico: l'attività lavorativa si era intensificata fino a raggiungere ritmi insostenibili; l'impegno lavorativo era stato continuativo secondo una media di circa undici ore giornaliere e aveva comportato il protrarsi dell'attività a casa e fino a tarda sera; gli svariati e complessi progetti erano gli stati affidati in gestione diretta dall’azienda senza alcun affiancamento di collaboratori.
La Corte di appello accoglieva la domanda e condannava la società al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni, della somma di Euro 434.137,00 in favore della moglie del lavoratore.
Viene proposto dalla società ricorso per cassazione, che è stato rigettato sulla base del seguente principio: “l’art. 2087 c.c., che, integrando le disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro previste da leggi speciali, impone all'imprenditore l'adozione di misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, è applicabile anche nei confronti del committente, tenuto al dovere di provvedere alle misure di sicurezza dei lavoratori anche se non dipendenti da lui, ove egli stesso si sia reso garante della vigilanza relativa alle misure da adottare in concreto, riservandosi i poteri tecnico - organizzativi dell'opera da eseguire”.
IL COMMENTO
1. ART. 2087 C.C.: RESPONSABILITÀ DEL DATORE DI LAVORO
La giurisprudenza di legittimità ha avuto, più volte, modo di affermare, con orientamento al quale da continuità la presente pronuncia, ai fini dell'accertamento della responsabilità del datore di lavoro, art. 2087 c.c , che incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute l'onere di provare l'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro ed il nesso causale fra questi due elementi.
D'altra parte il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile e cioè di avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte quelle misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto del concreto tipo di lavorazione e del connesso rischio per evitare il danno (Cass., n. 3786 del 2009, n. 21590 del 2008, n. 9817 del 2008, n. 2491 de 2008).
PER APPROFONDIRE sono disponibili:
1) Responsabilità del datore di lavoro nella morte di un manager per stress psicofisico - Sent. Cass. n. 9945/2014