In particolare, l’Ufficio disconosceva all’accertata la qualifica di associazione sportiva dilettantistica in quanto, anche se formalmente in regola con gli adempimenti statutari, in concreto, svolgeva in via esclusiva attività commerciale, non differenziandosi per le modalità di erogazione dei servizi e per le tariffe applicate da qualsiasi altra palestra.
Difatti dall’attività di verifica, emergeva che la finalità dell’associazione non era destinata alla preparazione atletica di sportivi dilettanti, né risultava l’organizzazione di eventi o gare sportive, piuttosto si trattava di attività diretta al mantenimento fisico, sub specie attività di body building, cardio fitness, ginnastica di mantenimento.
L’ammissione dei soci ed il loro recesso, inoltre, era di fatto libera; l’iscrizione era solamente subordinata alla compilazione del modulo di ammissione, alla contestuale sottoscrizione del regolamento e al versamento della quota annuale, senza alcuna approvazione, di fatto, da parte del Consiglio Direttivo.
Oltre alla quota annuale, il socio versava una tariffa a titolo di abbonamento, variabile a seconda del periodo (mensile, trimestrale, annuale o anche accesso giornaliero) e del servizio prescelto (tipologia di attività fisica), corrispondente ai prezzi di mercato.
Tutti elementi questi che facevano presume l’assenza di lucro e l’esistenza di una palestra svolgente attività commerciale.
Di contro l’ente collettivo eccepiva l’infondatezza delle determinazioni assunte dall’Ufficio, ritenendo che fossero presenti tutti i requisiti necessari per godere del regime agevolato, inclusa l’iscrizione al CONI.
Differente la posizione del Collegio che, nel rigettare il ricorso dell’ente, riteneva non sufficiente la formale iscrizione al CONI, visto che gli elementi fattuali acquisiti in sede di verifica facevano, legittimamente, presumere l’esercizio di un’attività commerciale, in violazione delle clausole statutarie.
La stessa giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 24898/2013; Cass n. 11456/2010.), in più occasioni, ha chiarito che gli enti di tipo associativo non godono dello status di “extrafiscalità” che li esenta da ogni prelievo fiscale, “potendo anche le organizzazioni no profit svolgere, di fatto, attività a carattere commerciale con proventi, dunque, tassabili,”; conseguentemente l'onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano l'esenzione è a carico del soggetto che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall'art. 2697 cod. civ.
Al fine della fruizione del trattamento tributario di favore, sottolineano i giudici di legittimità, non è affatto sufficiente “ né la mera appartenenza dell'ente alla categoria delle associazioni in questione, né la conformità dello statuto alle norme stabilite per il riconoscimento della relativa qualifica”.
Sul punto è intervenuta anche l’Amministrazione finanziaria che, con circolare 9 del 24/04/2013, ha chiarito che “requisiti fondamentali per il riconoscimento del regime agevolativo riservato alle associazioni sportive dilettantistiche sono il rispetto dei principi di democraticità e l’assenza di scopo di lucro, come stabiliti dalla legge 289/2002”.
In sostanza, la qualificazione ai fini fiscali dell’attività deve essere operata verificando in concreto “… se la stessa possa ricondursi fra quelle previste dall’art.2195 del codice civile o, qualora essa consista nella prestazione di servizi non riconducibili nel menzionato articolo se venga svolta con i connotati dell’organizzazione, della professionalità e abitualità” (Agenzia delle Entrate, Circolare 12/2009).
Alla luce delle considerazioni su esposte, preso anche atto del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il riconoscimento di possibili agevolazioni fiscali non può limitarsi a un’indagine di tipo formale, di conformità degli atti costitutivi e degli statuti alle prescrizioni di legge.
Gli enti di tipo associativo possono godere del trattamento agevolato previsto dal Dpr 917/1986, articolo 148 e dal Dpr 633/1972, articolo 4, a condizione non solo dell’inserimento nei loro atti costituitivi e negli statuti di tutte le clausole dettagliatamente indicate nell’articolo 5 del Dlgs 460/1997, ma anche dall’accertamento in concreto che la loro attività si svolga, materialmente, nel pieno rispetto delle prescrizioni contenute nelle clausole stesse.
Di certo l’onere di provare la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano l’agevolazione Ires, nonché Iva, è a carico del soggetto collettivo che la invoca, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall’articolo 2697 del codice civile ( cfr Cassazione, sentenze 16032/2005 e 22598/2006).
In questa prospettiva diventa fondamentale l’attività istruttoria degli Uffici che, per muovere le contestazioni in esame, dovranno acquisire dati fattuali considerevoli, capaci di superare le argomentazioni addotte dell’ente collettivo, in ambito amministrativo o giudiziale, circa la natura non commerciale dell’attività esplicata.
In Allegato il testo della Sentenza.