La S.C. nel caso esaminato statuisce la seguente massima: il reato penale di omesso versamento delle ritenute certificate si consuma con il mancato versamento per un ammontare superiore ad euro 50.000,00 delle ritenute e richiede per il suo perfezionarsi il mero dolo generico - integrato dalla consapevolezza del datore di lavoro di omettere i versamenti dovuti . Quindi non è necessario che il comportamento sia dettato dal fine specifico di evadere le imposte.
IL CASO
Con sentenza emessa in data 8 marzo 2013, la Corte di appello di Lecce confermava la pronuncia di condanna alla pena di mesi quattro di reclusione resa dal medesimo Tribunale - sez. dist. di Casarano - ed appellata da M.A.R., che veniva condannata altresì al pagamento delle spese processuali del grado. All'imputata era contestato il reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis , per non aver versato, quale legale rappresentante della X s.r.l., entro il termine previsto per la dichiarazione annuale di sostituto d'imposta, le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti d'imposta per un ammontare di 51.918,00 Euro per il periodo d'imposta 2005.
La Corte territoriale confermava la penale responsabilità dell'imputata osservando che l'addebito non poteva ritenersi escluso, per difetto di dolo o per forza maggiore, in considerazione del fatto che la condotta omissiva era stata determinata da carenza di liquidità, a sua volta provocata dall'inadempienza dell'azienda sanitaria locale (d'ora in poi Asl) nel pagamento di somme di cui la società era creditrice.
Secondo il giudice d'appello, la condotta omissiva contestata all'imputata non poteva essere giustificata dall'esistenza di pur ingenti crediti vantati dalla società nei confronti dell'Asl, in quanto lo stato di dissesto dell'imprenditore, il quale prosegua nell'attività di impresa senza adempiere all'obbligazione tributaria, non lo esonera dall'adempimento del tributo che è indipendente rispetto alle vicende finanziarie dell'azienda.
Per l'annullamento della predetta sentenza, ricorre per cassazione M.A.R., a mezzo del suo difensore, sollevando un unico complesso motivo con il quale deduce violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 bis, nonché per l'omesso riconoscimento dell'esimente di cui all'art. 45 c.p., e violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per inesistenza, insufficienza ed illogicità della motivazione. (...)
IL COMMENTO
1. Il disposto normativo
Il crescente aumento di condotte dirette, in assenza di sanzioni penali, ad omettere o posticipare il versamento sia di ritenute certificate, sia dell’imposta sul valore aggiunto, ha spinto il legislatore ad attrarre le predette nel sistema penale, introducendo, a tal proposito, rispettivamente le fattispecie di cui agli artt. 10-bis e 10-ter.
Questa ultima previsione presuppone l’avvenuta presentazione della dichiarazione Iva (regolata dall’art. 8, comma 1, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322) ed è modellata esattamente su quella di cui all’art. 10-bis, sia per quanto concerne la reclusione (da sei mesi a due anni), sia in punto di soglia di punibilità (ammontare superiore a cinquantamila euro per ciascun periodo di imposta); il comportamento si considera omissivo quando il soggetto non provveda a corrispondere l’imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale entro il termine previsto per il versamento dell’acconto, relativo al periodo di imposta successivo, (27 dicembre dell’anno seguente a quello di maturazione del debito Iva.
Momento consumativo, quello testé indicato, che costituisce ulteriore tassello per comporre, dal punto di vista materiale, la fisionomia del reato de quo, classificabile come omissivo proprio istantaneo.
In dottrina, si è fatta strada una interpretazione che ne ha predicato la natura mista (in parte attiva ed in parte omissiva)
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