La Suprema Corte ritiene che l’Agenzia delle Entrate abbia titolo per sindacare il compenso erogato all’amministratore, nel momento in cui lo ritenga assimilabile all’imprenditore. L’attuale ordinanza non può esser applicata all’attuale impianto normativo, stante l’inequivocabile formulazione dell’art. 95 del Tuir che ne prevede la deducibilità secondo il principio di cassa, ma può esserne contestato l’ammontare qualora sia insolito ovvero sproporzionato.
IL CASO
La società X srl. proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Centrale , sez. stacc. della Puglia, n. 2169/01/2010 con la quale era stato accolto quello dell'Ufficio delle imposte contro la decisione dell'altra sentenza di secondo grado. L'opposizione della contribuente, relativa all'avviso di accertamento inerente all'Irpeg ed Ilor per l'anno 1988, in ordine al reddito scaturente dall'attività di costruzione e vendita di unità immobiliari, veniva respinta, mentre essa rinviava il giudizio al giudice di appello per la determinazione del compenso all'amministratore unico D.P.D.
In particolare il giudice di terzo grado osservava che le spese c.d. di pubblicità altro non erano invece che quelle tipiche di rappresentanza, che perciò non potevano essere dedotte per l'intero, come invece la Società pretendeva, bensì soltanto per un nono, mentre non potevano essere qualificate di pubblicità sia perché annotate con la classificazione precedente, sia perché l'assunto della resistente non era stato corredato da alcun riscontro probatorio.
Quanto poi alla ripresa a tassazione della parte più consistente del reddito d'impresa, l'avere proceduto, da parte della Società, alla deduzione della somma di L. 50.000.000, proveniente dai ricavi, ed annotata nel conto economico, solo perché fatta figurare come compenso all'amministratore, con un risultato finale di bilancio uguale a zero, altro non era che un espediente elusivo posto in essere al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte, tenuto conto anche della consistente entità della pretesa retribuzione, che semmai perciò andava ridimensionata, ed il cui compito veniva affidato, con rinvio, alla commissione tributaria regionale.
Due i motivi di ricorso:
1. col primo motivo la Società deduce vizi di motivazione, e violazione di norme di legge, in quanto la CTC non considerava che alcun intento elusivo poteva riscontrarsi nella posizione della contribuente, che aveva corrisposto il compenso complessivo dedotto, e ciò in parti uguali, sia all'amministratore delegato D.P., sia al direttore R.G., che erano gli unici soci. Né è previsto un tetto massimo, aldilà del quale non si possa andare nella liquidazione dei compensi, altrimenti ciò comporterebbe una grave menomazione della libertà d'impresa, considerato che alcun intento elusivo poteva essere posto in essere, per il semplice fatto che entrambi i soci remunerati avevano corrisposto l'impasta mediante la ritenuta alla fonte;
2. col secondo motivo la ricorrente denunzia violazione di norme di legge, e vizio di motivazione, giacchè il giudice di terzo grado non considerava che le spese di pubblicità erano state annotate solo per errore come inerenti a rappresentanza, e ciò era emerso anche dalla fattura richiamata dalla commissione di primo grado.
IL COMMENTO
1. DISAMINA RETROSPETTIVA IN TEMA DI DEDUCIBILITÀ DEI COMPENSI DEGLI AMMINISTRATORI
Con le recenti sentenze n. 17673 e n. 20265 del 2013 la Corte di cassazione si è espressa in modo diretto sulla questione della necessità o meno, ai fini della deducibilità dei compensi degli amministratori in sede di determinazione del reddito d'impresa della società, dell'adozione di una specifica delibera assembleare che riconosca la spettanza dei compensi stessi. Nelle sentenze citate la Corte ha affermato che, in assenza di un'apposita previsione statutaria, la delibera rappresenta una condizione imprescindibile ai fini della deduzione dei compensi in esame, facendo riferimento, nella prima sentenza, ai principi di certezza e di inerenza. Tale principio deve, però, essere applicato con modalità tali che consentano di evitare duplicazioni impositive: se la società non può dedurre il compenso, lo stesso non può essere assoggettato ad imposizione in capo all'amministratore.(....)
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