I controlli bancari e finanziari rappresentano una delle più incisive modalità d’indagine a disposizione dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza, e possono combinarsi con le modalità sintetiche di determinazione del reddito soprattutto laddove risulta dif- ficile procedere a una ricostruzione fondata sui dati economici di un’attività «ufficiale».
Tale modalità istruttoria può essere adottata sia nelle operazioni propriamente definibili di polizia tributaria, sia in quelle di polizia giudiziaria, eseguite nell’ambito di istruttorie penali riguardanti varie ipotesi criminose.
In ambito fiscale, essi traggono tutta la propria forza dall’operare di presunzioni legali relative, e dunque dall’inversione dell’onere della prova, posto a carico dei soggetti controllati.
Ti potrebbero interessare:
1) Indagini finanziarie e diritti del cittadino
Lo strumento del contraddittorio rappresenta il punto nevralgico intorno al quale ruotano le attività di accertamento e anche quelle di controllo tributario, per effetto di quanto previsto dall’art. 12, comma 7, dello «Statuto del contribuente».
Di tale principio è manifestazione il divieto per l’ufficio fiscale di emettere l’avviso di accertamento – fatti salvi i casi di particolare e motivata urgenza – prima del decorso dei 60 giorni concessi ai contribuenti per presentare osservazioni ed eccezioni, e allo stesso ufficio per la valutazione critica delle risultanze del controllo.
Per quanto attiene al contraddittorio nell’ambito delle indagini finanziarie, ha affermato la circolare n. 32/E 2006 – pur ribadendone il carattere «eventuale» e non obbligatorio – che tale istituto risulta essenziale nella fase prodromica dell’accertamento, dato che l’indagine finanziaria non costituisce uno strumento di applicazione automatica, e occorre quindi provocare la partecipazione del contribuente, il quale può così fornire in sede precon tenziosa la prova contraria, al fine di evitare l’emissione di avvisi di accertamento che potrebbero risultare infondati.
In ogni caso, anche se il contraddittorio – pur raccomandato dalla stessa Agenzia delle Entrate – non dovesse essere esperito nella fase del controllo finanziario, esso rimarrebbe aperto nei passaggi successivi, di seguito riportati:
• accertamento con adesione successivo all’emanazione del pvc
• accertamento con adesione successivo alla notifica dell’atto di accertamento
• istanza di archiviazione del pvc o annullamento in autotutela
• conciliazione giudiziale
• eventuale contenzioso instaurato presso la CTP.
Di fronte a una modalità istruttoria così incisiva, in grado di penetrare la «riservatezza» dei conti e dei rapporti finanziari e di attingere direttamente – al livello della manifestazione finanziaria – le informazioni da utilizzare in sede di accertamento, è lecito attendersi qualche problema relativamente alla compatibilità con il diritto di difesa costituzionalmente garantito, che nei rapporti tributari si traduce nella possibilità del contribuente di provare e controargomentare a proprio favore.
Con l’ordinanza 6.7.2000, n. 260, relativa al giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 51, secondo comma, nn. 2) e 7), del d.P.R. n. 633/1972, la Corte Costituzionale ha affermato che – con riferimento alle disposizioni sui controlli bancari/finanziari – la censura di violazione dell’art. 24 della Costituzione non ha fondamento, poiché il controllato viene
«tempestivamente informato» delle richieste di acquisizione della documentazione bancaria e non gli è precluso il pieno esercizio, prima in sede amministrativa, e quindi in sede giudiziale, del proprio diritto di fornire riscontri probatori finalizzati a dimostrare l’irrilevanza fiscale delle movimentazioni esaminate (art. 51, comma 2, n. 2), d.P.R. n. 633/1972).
Inoltre, secondo le indicazioni fornite dalla Consulta, il valore presuntivo assegnato alle
risultanze dei conti, con facoltà di prova contraria da parte del contribuente, «si fonda ragionevolmente sul carattere oggettivo di dette risultanze, relative a rapporti facenti capo al contribuente».
Di analogo tenore è l’ordinanza n. 33 del 26.2.2002, sortita dai giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 51, comma 2, n. 2), del d.P.R. n. 633/1972 e dell’art. 32, comma 1, n. 2), del d.P.R. n. 600/1973: In quesl caso, pur ravvisando la totale correttezza procedurale della trasmissione degli atti del processo penale e del loro utilizzo in sede tributaria (questioni che erano emerse avanti il giudice di merito rimettente), era stata evidenziata «una inconciliabile antinomia fra il regime istruttorio-probatorio proprio del procedimento penale, nel cui ambito l’indagato ha il diritto di non rispondere, e dalla mancata partecipazione o dalla mancata risposta non possono derivare conseguenze negative per il medesimo indagato, e quello proprio della materia tributaria, in cui, a seguito della contestazione al contribuente delle risultanze bancarie e dell’invito a comparire per giustificarne la rispondenza alle scritture contabili, la mancata o insufficiente giustificazione comporta l’applicazione della “presunzione di ricavi”, e la inottemperanza all’invito a comparire e ad altre richieste degli uffici è punita con sanzione amministrativa».
Insomma, si lamentavano i danni derivanti dall’incompatibilità tra il diritto al silenzio dell’imputato nel procedimento penale e l’obbligo del contribuente di rispondere alle richieste dell’autorità fiscale, atteso che la riunione di ambedue le qualità in capo alla stessa persona avrebbe comportato comunque degli svantaggi.
L’accertamento tributario diviene poi rilevante anche in ambito processual-penalistico, come quando si debba applicare – per le sanzioni – il principio di specialità, oppure quando la legge dia rilevanza alla definizione del rapporto fiscale anche avanti il giudice penale, o quando quest’ultimo utilizzi le decisioni del giudice tributario o atti amministrativi ex- traprocessuali. Per simili motivi, il diritto di difesa era ritenuto compromesso in ambedue i processi, poiché la prova tributaria si identificherebbe – sostanzialmente – con l’esercizio del diritto di non rispondere dell’imputato-contribuente.
Affermando la legittimità costituzionale delle presunzioni iuris tantum, la Consulta ha negato rilevanza, ai fini dell’ipotizzato contrasto con l’art. 24 della Costituzione, al possibile interesse del contribuente a non addurre giustificazioni eventualmente utili a contrastare le presunzioni medesime, a fronte del rischio di conseguenze negative in procedimenti penali a suo carico. In quest’ultima sede il contribuente ha certo diritto a tutte le garanzie che sono associate al processo penale; ma non può assolutamente ritenere di mutare il diverso regime probatorio che caratterizza il rapporto tributario.
Ti potrebbero interessare i seguenti e-Book in pdf e libri di carta:
2) Provvedimento Agenzia 25 marzo 2013 : i dati per l'Anagrafe tributaria
RIcordiamo che il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate n. 37561 del 25.3.2013, che ha ottenuto l’assenso del Garante della privacy, ha dato attuazione alla previsione di cui al comma 2 dell’art. 11 del d.l. n. 201/2011, stabilendo che gli operatori finanziari devono comunicare, con riferimento alla tipologia di rapporti contenuti nell’allegato 1 al medesimo provvedimento, attivi nel corso dell’anno di riferimento:
• i dati identificativi del rapporto, compreso il codice univoco del rapporto, riferito al soggetto persona fisica o non fisica che ne ha la disponibilità, inclusi procuratori e delegati, e a tutti i cointestatari del rapporto, nel caso di intestazione a più soggetti;
• i dati sui saldi del rapporto, distinti in saldo iniziale al 1° gennaio e saldo finale al 31 dicembre, dell’anno cui è riferita la comunicazione;
• per i rapporti accesi nel corso dell’anno il saldo iniziale alla data di apertura, per i rapporti chiusi nel corso dell’anno il saldo contabilizzato antecedente la data di chiusura;
• i dati sugli importi totali delle movimentazioni distinte tra dare e avere per ogni tipologia di rapporto, conteggiati su base annua.
Tali dati devono essere conservati entro i termini massimi di decadenza previsti in materia di accertamento delle imposte sui redditi, quindi fino al 31 dicembre del sesto anno successivo a ogni anno cui è riferibile la comunicazione e, allo scadere di tale periodo, saranno integralmente e automaticamente cancellati.
Le informazioni di dettaglio sul contenuto del rapporto finanziario continueranno invece a essere acquisite e trattate secondo le procedure ordinarie. La comunicazione integrativa è prevista con cadenza annuale e non sostituisce la comunicazione di cui ai provvedimenti del 19.1.2007 e 29.2.2008. A regime, la comunicazione dovrà essere trasmessa entro il 20 aprile dell’anno successivo a quello a cui sono riferite le informazioni, che confluiranno nell’archivio dei rapporti finanziari.
Ti potrebbero interessare:
3) per approfondire tutti gli aspetti delle nuove indagini finanziarie scarica il nostro e-book:
SOMMARIO
Sintesi
Premessa
1. LE INDAGINI BANCARIE E FINANZIARIE
1. Aspetti generali
1.1. L’anagrafe tributaria e l’archivio dei rapporti
1.2. Gli aspetti operativi relativi ai controlli
1.3. Le comunicazioni degli intermediari finanziari
1.4. Il collegamento con la normativa antiriciclaggio
1.5. La situazione dei professionisti
1.6. Il contraddittorio e la difesa del contribuente
1.7. L’estensione degli obblighi di comunicazione in capo agli intermediari
1.8. Gli intrecci con le norme in materia di monitoraggio fiscale
1.9. L’utilizzo dei dati bancari e finanziari nella programmazione dei
controlli.
2. NORMATIVA
Ti potrebbero interessare: