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LA TERRITORIALITÀ IVA DEI SERVIZI GENERICI

La territorialità Iva dei servizi generici

Le principali novità in materia di territorialità IVA introdotte al DLgs 18/2010 (applicabili a decorrere dal 2010) a seguito del recepimento della c.d. “Direttiva Servizi”

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Come noto, con la circolare n. 37/E l’Agenzia delle Entrate ha chiarito alcune delle principali novità in materia di territorialità IVA introdotte dal DLgs 18/2010. In particolare, al fine di garantire l’applicazione uniforme in tutti gli Stati membri delle norme in materia di IVA, trovano applicazione a decorrere dall’1.7.2011 le diposizioni contenute nel Regolamento UE 282/2011.
Inoltre, con la recente pubblicazione della c.d. legge “Comunitaria 2010” è previsto l’obbligo del committente di integrare la fattura ricevuta dal prestatore UE, in luogo dell’emissione dell’autofattura nonché l’individuazione del momento impositivo per i servizi generici, resi e ricevuti, nell’ultimazione della prestazione, anziché con il pagamento del corrispettivo.

1) Territorialità servizi generici

L’art. 44 della direttiva 2006/112/CE (c.d. “Direttiva Servizi”) è stato recepito dall’art. 7-ter co. 1 lett. a) del DPR n. 633/72, in base al quale le prestazioni di servizi si considerano effettuate in Italia “quando sono rese a soggetti passivi stabiliti nel territorio dello Stato”.
La tassazione delle prestazioni di servizi "cd generiche" (applicata dal 1.1.2010) è determinata in relazione alla natura del committente. In particolare:
  • se il committente è soggetto passivo IVA la prestazione si considera effettuata nello Stato del committente configurando un servizio “Business to Business” (c.d. B2B);
  • se il committente non è un soggetto passivo IVA la prestazione si considera effettuata nel paese del prestatore configurando un servizio “Business to Consumer” (c.d.B2C).
Pertanto, le prestazioni in esame si considerano effettuate in Italia se:
  • il committente è un soggetto passivo IVA stabilito in Italia;
  • il committente è un “privato” e il prestatore è un soggetto passivo IVA stabilito in Italia.
Mentre, non si considerano effettuati in Italia, anche se ivi utilizzati, quando sono rese ad un committente stabilito in altro Paese UE o extra-UE. Secondo la circolare 37/2011 affinché il presupposto territoriale sia soddisfatto è necessario svolgere una triplice verifica riguardante:
  • il fatto che il committente sia un soggetto passivo (c.d. “status”);
  • il fatto che il committente agisca nella veste di soggetto passivo (c.d. “qualità”);
  • il luogo di stabilimento dello stesso.
Secondo quanto disposto dall’art. 1 del D.P.R. n. 633/72 affinché una prestazione rilevi ai fini IVA il prestatore deve agire nell’esercizio di una delle attività di impresa, arte o professione (di cui agli artt. 4 e 5 del D.P.R. n. 633/72).
È, pertanto, irrilevante ai fini IVA una prestazione resa (carenza presupposto soggettivo) da un soggetto che non svolge attività d’impresa, arte o professione anche se il committente italiano è un soggetto passivo.

2) Verifica status committente

Ai fini territoriali si considerano soggetti passivi (art. 7-ter co. 2 del DPR 633/72):
  • i soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione (le PF si considerano soggetti passivi limitatamente alle prestazioni ricevute);
  • gli enti, le associazioni e le altre organizzazioni (art. 4 co. 4 del DPR 633/72), anche quando agiscono al di fuori delle attività commerciali o agricole;
  • gli enti, le associazioni e le altre organizzazioni, non soggetti passivi identificati ai fini IVA.
Gli enti non commerciali saranno considerati sempre soggetti passivi qualora, in via alternativa, abbiano:
  • effettuato, nell’anno precedente, ovvero nel corso dell’anno, acquisti intraUE per un importo superiore a €.10.000. Questi, allo scopo di assoggettare ad IVA in Italia tali acquisti, sono obbligati a chiedere l’attribuzione del numero di
    partita IVA (art. 38, c. 5, DL n. 331/93);
  • optato per l’applicazione dell’IVA in Italia sugli acquisti intraUE effettuati (non eccedenti il limite di €.10.000) e che per tale motivo dispongono di un numero di partita IVA (art. 38, c. 6, DL n. 331/93).
Non rientrano tra i soggetti passivi:
  • le società di mero godimento per le quali si presume l’assenza di svolgimento di attività commerciale;
  • contribuenti minimi: per i quali la circolare rinvia alle fattispecie indicate nella CM 36/2010.
Si tratta, in particolare, dei casi in cui il contribuente minimo:
  1. effettua acquisti intra UE di beni da un soggetto passivo UE. In tal caso l’operatore italiano:
    - integra la fattura ricevuta con l’imponibile e l’IVA;
    - non può detrarre l’IVA;
    - compila i modelli Intra per l’acquisto di beni;
    - versa, entro il giorno 16 del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, l’IVA relativa a tale acquisto.
  2. Cede beni ad un soggetto passivo UE.
    In tal caso l’operatore italiano:
    - emette fattura senza l’applicazione dell’IVA ;
    - non deve compilare i modelli Intra delle cessioni di beni.
  3. Riceve servizi da un soggetto passivo UE (l’operatore italiano si comporta come al punto 1).
  4. Presta servizi ad un soggetto passivo UE (l’operatore italiano si comporta come al punto 2).
Al fine di semplificare gli obblighi di verifica dello status di soggetto passivo del committente, l’art. 18 del regolamento UE 282/2011 distingue a seconda che il committente sia stabilito o meno comunitario. Particolare rilevanza, per le prestazioni in esame, assume il numero identificativo IVA comunicato dal committente comunitario. Il committente UE può essere considerato soggetto passivo (salvo prova contraria) se:
  • ha comunicato al prestatore il proprio numero di partita IVA;
  • il prestatore ha ottenuto la conferma della validità del numero identificativo IVA mediante il sistema VIES (art. 18, Reg. UE n. 282/2011).
Eccezione se il committente UE comunica che (pur avendone fatto richiesta) non ha ancora ricevuto il numero di partita IVA: il prestatore considera verificato lo status di soggetto passivo qualora:
  • ottenga qualsiasi altra prova della soggettività passiva del committente;
  • si adoperi per effettuare una “verifica di ragionevole ampiezza sull’esattezza delle informazioni che il committente gli ha fornito circa il proprio status, applicando le procedure di sicurezza commerciali normalmente in uso (ad es. le procedure relative ai controlli di identità o di pagamento)”(C.M. 37/2011)
L’Agenzia nella Circolare n. 37/2011 precisa, inoltre, che se mancano gli elementi per dimostrare l’assenza dello status di soggetto passivo del committente UE, è sufficiente che il prestatore italiano disponga della richiesta di attribuzione della partita IVA presentata dal committente nel proprio Stato.
Pertanto, se committente UE non ha comunicato il proprio numero di partita IVA al prestatore italiano, questi può considerare tale committente privo di soggettività passiva (salvo disponga di informazioni contrarie).
Il committente extra UE può essere considerato soggetto passivo:
  • se fornisce al prestatore la certificazione rilasciata dalle autorità fiscali competenti attestante l’esercizio di un’attività economica che permetta di ottenere il rimborso dell’IVA (ex art. 38-ter, DPR n. 633/72); in Italia, tale rimborso è riconosciuto esclusivamente nei confronti dei soggetti passivi stabiliti in Svizzera, Israele e Norvegia;
  • se dispone:
    - di un numero identificativo Iva o da un analogo codice, utilizzato per identificare le imprese dalle autorità fiscali del relativo Stato extra UE;
    - di qualsiasi altra prova attestante la posizione di soggetto passivo.
Anche in questi casi, il prestatore dovrà effettuare “una verifica di ampiezza ragionevole dell’esattezza delle informazioni dal destinatario applicando le normali procedure di sicurezza commerciali, quali quelle relative ai controlli di identità o di pagamento”.
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