La Corte di Cassazione considera due diverse situazioni in capo a versamenti sospetti sui conti bancari del contribuente: gli stessi sarebbero sufficienti per un accertamento fiscale ma non per una condanna penale per evasione con conseguente confisca del denaro, essendo semplici presunzioni che devono essere suffragate da diversi elementi.
IL CASO
La vicenda ha origine con l’emissione di un decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. finalizzato alla confisca per equivalente di beni nella disponibilità del contribuente.
Il soggetto propone ricorso davanti al Tribunale del Riesame che conferma l’ordinanza di emissione del decreto di sequestro preventivo precisando che nell'ordinanza il contribuente risulta indagato dei reati ex art. 4 del D. Lgs n. 74/2000 per i redditi relativi agli anni 2006, 2007 e 2008 in quanto avrebbe indicato nelle dichiarazioni elementi attivi inferiori a quelli reali. Inoltre, si sottolinea che il sequestro è stato limitato alle annualità 2008 e 2009 per l’irretroattività della norma che ha esteso l'applicabilità dell'art. 322 ter c.p. ai reati tributari.
L'ordinanza, anche evidenziando l’inutilizzabilità in sede penale delle presunzioni legali attive in materia tributaria ha ravvisato la sussistenza del fumus di reato.
Contro la decisione del Tribunale l'indagato propone ricorso davanti alla Suprema Corte di Cassazione denunciando cinque mezzi di annullamento.
Gli Ermellini accolgono in parte il ricorso del contribuente sul punto in cui si evidenzia che l'ordinanza ha applicato al procedimento penale le presunzioni di reddito così come stabilite dalla legge tributaria per la sommarietà del giudizio cautelare, mentre il giudice penale deve accertare, su elementi di prova acquisiti, l'esistenza del reato ed il superamento della soglia di punibilità.
L'ordinanza impugnata viene annullata quindi con rinvio con rinvio per la verifica della proporzionalità della somma di cui è stato disposto il sequestro, rispetto al profitto dell'evasione fiscale.
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