L’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. penale, n.4956 dell'8 febbraio 2012 evidenzia l’importanza assunta dall’istituto della confisca per equivalente, nel contrastare i reati tributari di cui al d.lgs n. 74/2000, commessi successivamente al 1° gennaio 2008.
L’intervento repressivo è focalizzato più sul risultato economico dell’attività delittuosa che sulla persona che delinque. Il caso in esame è di particolare attualità in quanto evidenzia, inoltre, il rischio che, a fronte di un reato tributario, il provvedimento ablatorio intacchi i beni personali del legale rappresentante di una s.r.l., di fatto assottigliando le differenze tra società di capitali e società di persone. Ciò per il “carattere sostanzialistico” del diritto penale che è orientato a giudicare i fatti più nella loro consistenza effettiva che nel loro aspetto formale, per cui nel processo penale possono infrangersi assetti contrattuali non impugnabili alla stregua di una rigorosa applicazione della normativa civilistica.
IL CASO
Il Tribunale di Genova, su istanza del P.M., disponeva il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, di denaro e altri beni mobili e immobili, fino alla concorrenza dell'importo di Euro 50.200,00, intestati o cointestati al Sig. B.S. - indagato per il reato ex art. 10 ter (omesso versamento dell’IVA), del D.Lgs. n. 74 del 2000 - e/o alla società X s.r.l., di cui lo stesso era legale rappresentante. Ciò nel presupposto che non essendo possibile procedere al sequestro in forma specifica occorreva disporre il sequestro di beni di valore corrispondente, c.d. tantundem, di cui l'indagato, rappresentante legale della società, aveva la disponibilità.
I difensori, nel ricorso per Cassazione, denunciano la violazione dell’art. 321 c.p.p., co. 1, e dell’art. 240 c.p., co. 2, per carenza dei presupposti legali sulla cui base si innesta il provvedimento ablatorio. Inoltre, eccepiscono che il valore dei beni sottoposti a vincolo giudiziario è superiore al valore del profitto indebito realizzato con il reato de quo; in linea teorica il profitto dovrebbe coincidere, secondo le argomentazioni della difesa, con l'importo dell'IVA incassata, confluita nei conti correnti della società X srl e non versata allo Stato.
In primis il ricorso è infondato - secondo la Corte - in quanto non si può subordinare l'operatività del sequestro, alla verifica che il profitto del reato sia confluito effettivamente nella disponibilità dell'indagato, in quanto la legge relativamente al sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, non richiede l’individuazione di un nesso tra beni e reato. Non necessariamente i beni sottoposti a sequestro devono esser proprio quelli acquisiti con il profitto del reato ma è sufficiente individuare nel compendio patrimoniale di cui dispone il reo un valore in termini di beni, c.d. tandundem, corrispondente solo per valore al prezzo o al profitto del reato.
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1) Commento all' Ordinanza della Corte di Cassazione Penale n. 4956/2012
Scarica il commento completo ed il testo integrale della sentenza : Confisca dei beni del legale rappresentante per l’IVA evasa dalla società
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