Come noto con l’istituzione di un trust il disponente pone determinati suoi beni sotto il controllo del "trustee", a beneficio di un terzo o per il raggiungimento di uno scopo, ma tali beni non entrano a far parte del patrimonio del trustee: essi formano un patrimonio separato o di scopo; il trustee è investito del potere di amministrare, gestire e disporre dei beni apportati dal disponente, secondo le norme dell’atto istitutivo del trust e le prescrizioni di legge.
Da diversi anni è stato dedicato ampio spazio in dottrina alla possibilità di trasformare una società a responsabilità limitata in Trust, sulla scorta dell’applicazione analogica delle norme che, nel nostro codice civile, a seguito alla riforma del diritto societario, disciplinano la cosiddetta trasformazione eterogenea (art. 2500- septies e segg. cod.civ.).
Il dibattito ha subìto negli ultimi tempi un’ ulteriore accelerazione perché da più parti si intravede (impropriamente) nel Trust uno strumento potenzialmente capace di “eludere” la norma sulle società di comodo, disciplina quest’ultima particolarmente penalizzante per quelle sociesocietà che utilizzano lo schermo societario non servente un’effettiva attività commerciale. società che utilizzano lo schermo societario non servente un’effettiva attività commerciale. società che utilizzano lo schermo societario non servente un’effettiva attività commerciale.
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1) Trust come elusione?
Il percorso argomentativo suggerito, nell’ambito di tale suggestivo disegno di pianificazione fiscale, è il seguente:
a) si trasforma in perfetta neutralità fiscale la società a responsabilità limitata in Trust;
b) si evitano le conseguenze fiscali della “fuoriuscita” dal regime dei beni dell’impresa e, quindi, la exit tax prevedendo che il trust sia commerciale (possibilità peraltro sancita dall’art. 73 del Tuir);
c) la norma sulle società di comodo sembrerebbe non contempli, tra i soggetti cui trova applicazione, gli enti commerciali e non commerciali residenti, incluso il Trust (art. 30, co. 1, L n. 724/1994).
L’aspetto più importante, trascurato da chi propone tali operazioni, è l’individuazione, indipendentemente dalla corretta lettura della norma fiscale, delle ragioni giuridiche per cui si ricorre all’istituto del Trust.
Pur non essendo quest’ultimo strumento codicisticamente tipizzato, il ricorso al Trust deve essere attentamente valutato dal professionista sul quale quindi incombe un onere di carattere motivazionale che deve esser correttamente esplicitato al cliente/disponente cui viene proposto quale soluzione.
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2) Trust fiscalmente inesistenti
Sebbene il Trust non sia incluso nelle fattispecie normativamente e tassativamente elencate dall’art. 37 bis del d.P.R. 600, c.d. disposizioni antielusive, un’operazione di trasformazione eterogenea del tipo illustrato presta sicuramente il fianco a possibili rilievi in fase accertativa, se non compiutamente motivata. Del resto la categoria giuridica dell’“abuso del diritto”, l’esistenza di un generale principio antielusivo e, più in particolare, la violazione dell’art. 53 della Costit., stigmatizzata dalle ben note sentenze della Cassazione a Sezioni Unite (n. 30053 e 30055 del 2008), ben si presterebbero a “neutralizzare” fiscalmente una siffatta operazione.
Secondo i principi di diritto elaborati dalla Cassazione sono, infatti, sanzionabili tutti gli atti e i negozi che, pur non contrastando con alcuna specifica disposizione, producono ai contribuenti vantaggi fiscali altrimenti indebiti, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino le operazioni stesse.
Del resto l’Amministrazione finanziaria ha già espresso nella circ. n. 61/E/2010, afferente chiarimenti sulla disciplina fiscale del trust, i casi in cui il trust è considerato inesistente ai fini fiscali. Tali casi sono tutti accomunati da una linea omogenea e cioè dal fatto che nella pratica professionale bisogna rispettare appieno, nel prestare assistenza tecnica alla redazione dell’atto istitutivo, i princìpi posti dalla Convenzione dell’Aja e cioè: reale spossessamento del disponente, irrevocabilità del Trust (evitando i c.d.“trust di ritorno”) e discrezionalità piena del Trustee.
Dunque alcuni Trust istituiti in passato, specie quelli auto-dichiarati, potrebbero esser per l’Amministrazione finanziaria, qualora non rispondenti ai requisiti della Convenzione e ai principi elencati, fiscalmente inesistenti, per cui eventuali redditi prodotti dal Trust sarebbero riportati direttamente in capo al disponente, con conseguenze assai gravose.
A fronte di tali linee esplicative l’operazione di trasformazione da società in trust, se non retta da motivazioni meritevoli di tutela, potrebbe pertanto esser oggetto di rilievi difficilmente difendibili in fase di contenzioso tributario in quanto siffatta trasformazione potrebbe non trovare supporto non solo nelle note “valide ragioni economiche” ma, anche - aggiungiamo noi - in valide ragioni giuridiche.
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