IL CASO
La questione è relativa ad un procedimento penale contro due soci ed un amministratore di due società di capitali collegate tra di loro, per i reati previsti dall’articolo 10-quater e 10 del Dlgs nr. 74/2000: indebita compensazione di imposte e di occultamento o distruzione di documenti contabili. Nell’accusa si considerava come i soggetti avessero originato con operazioni inesistenti, un importante credito Iva utilizzato in compensazione, occultando, anche, la documentazione contabile.
Il G.i.p. ha ritenuto sussistere un grave quadro indiziario e, nell’applicazione dell'istituto della "confisca per equivalente" ha emesso decreto di sequestro, su richiesta del Pubblico Ministero ex art. 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244.
Contro tale decreto gli indagati hanno proposto separate istanza di riesame, che il Tribunale ha esaminato congiuntamente respingendo tutte le motivazioni presentate dagli indagati e confermando sia l'esistenza del fumus di reato (in special modo considerando il successivo occultamento dei documenti contabili), sia la fondatezza dei presupposti del sequestro individuati dal G.i.p. sia la legittimità del sequestro di beni personali degli indagati.
I due soci ricorrevano congiuntamente contro l'Ordinanza del Tribunale di Bergamo con diversi motivi:
• si contestava la fittizietà del credito Iva in compensazione per la non presenza di prove relativa alla partecipazione del socio alla divisione degli utili o del prezzo del reato: non si poteva attribuire al socio il reato di indebita compensazione anche nella precisazione che quest’ultimo non possa essere imputato di concorso nel reato per l’occultamento delle scritture contabili;
• l’occultamento o distruzione di scritture contabili, reato non di danno ma di pericolo, non porterebbe alla “confisca per equivalente”.
La Corte di Cassazione considera i motivi riportati privi di fondamento giuridico e rigetta il ricorso, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese , perché considera applicabile l'istituto del concorso di persone ex art. 110 c.p, con la precisazione, dunque, che nemmeno il socio “inconsapevole” è escluso dalla responsabilità penale in caso di indebita compensazione dell’IVA della azienda.
Inoltre per quanto riguarda il sequestro dei beni personali dei soci, la Cassazione ribadisce il principio già affermato nella sentenza n. 10810/2010 per cui si può enunciare la seguente massima:
“IL SEQUESTRO PREVENTIVO FUNZIONALE ALLA CONFISCA PER EQUIVALENTE PUÒ INTERESSARE INDIFFERENTEMENTE CIASCUNO DEI CONCORRENTI ANCHE PER L'INTERA ENTITÀ DEL PROFITTO ACCERTATO, OVVIAMENTE ENTRO I LIMITI DELL'AMMONTARE COMPLESSIVO E SENZA PROCEDERE A DUPLICAZIONI.”
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1) Commento alla Sentenza della Corte di Cassazione n. 662/2011
Per un commento ed il testo integrale della sentenza scarica il documento completo al seguente link:
Indebita compensazione dell’Iva e responsabilità dei soci e dell’ amministratore - Sent. Cass n. 662/2011
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