La vicenda trae origine dalla chiamata in giudizio, davanti al Tribunale di Firenze, per cinque capi di imputazione, per interesse privato in procedure di concordato preventivo con cessione di beni commessi tra il 1998 ed il 1999, del commissario giudiziale e liquidatore del concordato di una società.
In particolare si contestava al soggetto:
• la liquidazione di alcuni crediti al valore nominale dopo il loro acquisto a un valore inferiore dagli originari creditori, attraverso l'interposizione di società di comodo, con lucro della differenza e danno per i creditori cedenti con la conseguenza che le imprese concordatarie venivano frustrate nell'aspettativa del residuo della liquidazione;
• la sottrazione di cespiti dall'attivo di una delle procedure attraverso la stipulazione di accordi fraudolenti con una società terza a lui riconducibile, previo inganno del consulente nominato dal giudice delegato alla stima dell'impresa concordataria;
• un reato di truffa connesso al capo A e dei reati di appropriazione indebita e falsa perizia;
• un reato di interesse privato commesso nella qualità di curatore di una procedura fallimentare e di un connesso reato di truffa;
• un reato di tentata sottrazione (334 cod. pen.), mediante cessione di quote sociali sottoposte a sequestro preventivo;
• altri due reati di truffa e sottrazione di beni.
Il Tribunale di Firenze condannava, con la sentenza del 2006, il soggetto alla pena complessiva di anni sei di reclusione ed euro 3.900 di multa.
Contro tale sentenza, il soggetto proponeva appello accolto dalla Corte d'appello di Firenze, che, con sentenza del 10 giugno 2009, assolveva parzialmente l'imputato e riqualificava i fatti descritti nei capi G e H (stipulazione di accordi fraudolenti con una società terza a lui riconducibile, previo inganno del consulente nominato dal giudice delegato ai fini della stima dell'impresa concordataria e reati di appropriazione indebita) come unico reato di bancarotta fraudolenta impropria distrattiva aggravata commessa dal liquidatore concordatario, ai sensi degli 236 legge fall., rideterminando la relativa pena in anni tre e mesi quattro di reclusione ed, eliminando le precedenti pene accessorie, dichiarava l’imputato interdetto dai pubblici uffici per anni cinque e inabilitato per anni dieci all'esercizio di un'impresa commerciale e incapace per la stessa durata a esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa.
Contro la sentenza di appello la difesa del soggetto ha proposto ricorso per Cassazione.
La Sez. V della Corte, assegnataria del ricorso, rimette alle Sezioni Unite perché dissente dal citato precedente, posto a base della riqualificazione dei fatti di cui ai capi G e H operata dalla Corte territoriale, sottolineando al riguardo le profonde differenze esistenti, a suo avviso, fra il liquidatore di società e il liquidatore concordatario
A sezioni Unite la Corte dopo un dettagliato excursus normativo sull’istituto ed aver analizzato le due figure di liquidatori previste , afferma dunque il principio per il quale, “il liquidatore dei beni del concordato preventivo di cui all’art. 182 legge fall. non può essere soggetto attivo dei reati di bancarotta di cui agli artt. 223 e 224, richiamati nell’art. 236, comma secondo, n. 1, legge fall., in quanto non può ritenersi ricompreso in alcuno dei soggetti ivi espressamente indicati e, in particolare, tra i liquidatori della società.
La sentenza impugnata viene dunque cassata senza rinvio in ordine ai reati di cui ai capi G e H dell'imputazione nella qualificazione originaria così ripristinata ed estinti per prescrizione i reati con conseguente eliminazione delle relative pene. Per tutti gli altri il ricorso è rigettato.
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1) Commento alla Sentenza della Cassazione n. 43428-2010
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Bancarotta esclusa per il liquidatore del concordato preventivo - Sent. Cass n. 43428 del 7/12/2010
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