La vicenda trae origine dalla ricezione, da parte di un contribuente, di un avviso di rettifica Iva basato sul pvc della Guardia di Finanza. Successivamente al verbale dei militari, l’Ufficio competente accertava una maggiore Iva dovuta, analizzando i versamenti del titolare della ditta sul conto corrente aziendale, denominati in contabilità come “finanziamenti del titolare”.
Questi, dunque, erano considerati ricavi non dichiarati nella considerazione che il contribuente non aveva prodotto la prova che tali somme non avevano attinenza con l’attività d’impresa.
Il contribuente, ricevuto l’atto impositivo, proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale.
Questa accoglieva il ricorso motivando la sua decisione con la considerazione che per le somme iscritte in contabilità come “finanziamenti del titolare”, non sussistevano elementi di incompletezza, falsità o inesattezze che potessero giustificare l’emissione di un avviso di accertamento con metodo induttivo.
Contro tale decisione, si opponeva l’Agenzia delle Entrate presso la Commissione tributaria regionale, la quale dichiarava la legittimità e la fondatezza dell’atto oggetto di decisione, sottolineando che il nucleo fondamentale della decisione non era quello della formale regolarità delle scritture contabili ma la non attendibilità delle stesse considerando la mancata prova, da parte del contribuente, dell’estraneità di tali movimentazioni bancarie dall’attività d’impresa esercitata.
Avverso tale sentenza il contribuente propone ricorso per Cassazione che però lo respinge, per infondatezza dei motivi addotti.
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1) Commento alla Sentenza della Cassazione n. 26260/2010
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