Le imprese hanno necessità di avere risposte chiare e strumenti accessibili e di facile utilizzo.
Non sono più i tempi, salvo rare eccezioni (per lo più in realtà di grandi o multinazionali dimensioni) di predicare formule statistico-matematiche o sviluppare teoremi tanto complicati quanto inefficaci.
O, comunque, questo approccio non è più idoneo.
Qualcuno dice che questa recessione non è poi così dura ne’ così duratura.
Lo dice chi non frequenta “il marciapiede delle imprese”.
Quando l’impresa entra in “disequilibrio finanziario”?
Vi entra quando adotta una correlazione non congrua tra le fonti di reddito ed i suoi impieghi.
Ma quanto margine di manovra ha, in questo ambito, l’imprenditore? Dobbiamo distinguere tra scelta e opzione obbligata.
Non sempre – di questi tempi soprattutto – l’imprenditore può liberamente scegliere; o meglio, non sempre l’imprenditore è in grado, o è capace, di scegliere al meglio, sia perché non esegue una corretta analisi delle disponibilità, o perché non sa - o non può – eliminare o ridurre le immobilizzazioni non funzionali.
Oppure perché non si tiene al passo con una stretta valutazione delle esigibilità, finendo per ridurre l’attivo disponibile, da cui deriva una squilibrata correlazione tra fonti ed impieghi.
Non risolve il saper eseguire un’attenta analisi di tutti gli indicatori di equilibrio e di flusso; molta teoria e poca applicabilità; meglio – di questi tempi - far posto al pragmatismo ed alla concretezza.
In azienda, la liquidità (intesa come “manovrabilità” delle risorse liquide in senso lato) è fattore “sacro” al pari della “redditività”. Parliamo di fare impresa, non beneficenza o mecenatismo.
“Barcamenarsi” è forse un termine attualissimo nelle aziende, ma non è ne’ l’obiettivo ne’ la causa per cui un imprenditore va , è o resta su mercato.
La prima domanda: vi è spazio per consolidare il fatturato? Si può parlare davvero di “consolidare” o si deve parlare di “rinnovare”, il giro d’affari?
E se il mantenimento (consolidamento e/o rinnovamento) del fatturato non è possibile (non saremmo in recessione acclarata sennò) come la mettiamo? E se il fatturato, da un anno all’altro, si dimezza? Parliamo di fatti veri e non di teoria, come ben sanno gli operatori di tutti i mercati.
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1) Il cliente è una risorsa o un problema?
Per quanto possa sembrare adeguata, la politica del “giorno per giorno” o del “ha da passa’ a nuttata” (così in voga) non paga, ne’ nel medio ne’ tanto meno nel lungo termine. Forse neppure nel breve.
Le politiche dei prezzi, degli sconti, dei resi mettono il cliente al centro nella nostra attenzione.
Occorre investire sul cliente o è meglio una gestione ordinaria – de minimis – del medesimo?
Ricordiamoci, siamo tutti nel contempo clienti e fornitori; conosciamo dunque bene cosa siamo e cosa vorremmo essere e come trattare i rapporti commerciali ed industriali.
Rinegoziare, dunque, anche con i fornitori è possibile o, almeno, da provare “allo spasimo”.
Per loro siamo clienti e, neppure per loro, la recessione non esiste. Siamo le due facce della stessa medaglia.
Parola d’ordine: ridurre gli sprechi; già lo facciamo. La riduzione dei costi fissi: già ci impegniamo. Non sempre è possibile risparmiare, ma qualcosa – sempre – anche poco, si può fare.
Infine, occorre identificare più modernamente e più correttamente (se del caso, ridefiniamo i profili) i rapporti con coloro che sono la “nostra finanza”: dopo i clienti ed i fornitori, le banche.
La finanza è oggi importante quanto il R.O.L. (risultato operativo lordo).
Possiamo “guadagnare” nella parte “alta” del bilancio, e poi perdere denaro in una gestione finanziaria “non idonea”. Magari senza neppure averne una piena consapevolezza.
Il ciclo di cassa è sempre più stringente. Ogni nostro cliente ci chiede di finanziarlo e noi siamo pronti a farlo; nella misura in cui il fornitore fa la stessa cosa con noi, tutto fila liscio.
Per ogni giorno di dilazione che gli concediamo contrattualmente (o si prende arbitrariamente), il cliente ci mette in competizione sul fattore “tempo-costo del denaro” con il nostro finanziatore-fornitore.
Quando l’equilibrio tra incassi e pagamenti si altera, anche solo lievemente, subentra il fattore “ banca” e quindi interagiscono gli oneri finanziari, a corrosione del reddito.
Tutto questo già lo sappiamo e fa parte del gioco. E’ solo che - a volte - sottovalutiamo gli effetti dello “sforamento”.
Già facciamo i conti con il costo finanziario del magazzino, inevitabile e così strategico; strategiche le scorte e strategico il loro costo finanziario.
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2) Che fare dunque di fronte a condizioni generali di mercato così instabili, quasi vessatorie?
Per esempio, possiamo rivedere le condizioni adottate nella nostra politica del credito aziendale. Rivisitiamo i termini di dilazione e di pagamento dei clienti e lavoriamo sull’ottenimento di migliori termini dai fornitori.Controlliamo rigidamente e senza sconti (a noi stessi):
- incassi;
- gestione delle scorte;
- tassi bancari;
- costi di trasporto.
Tutto è “finanza”. Dalla gestione finanziaria possono derivare insperate “sacche” di margine o scaturire impreviste sorgenti di costo.
Non occorre “minacciare” nessuno (banche o fornitori), come non occorre “pregare” nessuno (clienti).
Se non è l’imprenditore (o i soci) a ri-finanziare l’impresa, siamo in mano al “sistema banca”; se questo è quanto, e vi fossero i margini, verifichiamo se siamo in grado di decidere se lavorare per la banca o lavorare per noi.
Anche le banche sono nostri fornitori; ci forniscono la materia prima, il “denaro”, e lavorano sul mercato in regime di semi-monopolio e di trust di fatto.
Delle due l’una: se la nostra azienda ce la può fare, che d’ora in avanti consideri il banchiere come un normale fornitore e tratti con lui come fa con l’autotrasportatore o il produttore di materie prime o il fornitore di merci.
Se non se lo può permettere, allora è meglio farsi un esame di coscienza e di convenienza.
Meglio un piano di risanamento che lavorare per la banca a tempo pieno, chiudendo in utile operativo il bilancio e poi rasentare il pareggio (o cadere in perdita) a causa di grassi interessi e ancor più grasse commissioni.
Siamo per il rilancio, lo sviluppo ed il reddito d’impresa e non tifiamo per i traghettatori nei porti delle liquidazioni d’azienda. Tuttavia, il ragionamento estremo testè fatto, non vuol essere un attacco alle banche (esse fanno parte del mercato a pieno titolo e ne costituiscono una delle più importanti componenti) ma vuole invece essere un richiamo forte allo spirito del tentare – ad ogni costo – di cambiare.
Ricetta: modificare o rimodulare gli approcci quando le cose non vanno come dovrebbero.
Da sole, le situazioni, ne’ migliorano ne’ si ribaltano.
Ribaltiamo noi l’approccio.
In fondo, la recessione, è un’epidemia che seleziona - naturalmente - i protagonisti superstiti del mercato.
Dimostriamo che, anche senza nuovo denaro ma “solo” con il mutamento di approccio su molti temi (clienti, fornitori, banche, risorse umane, eccetera) si può fare il primo passo. Il resto seguirà “a ruota”.
Un buon “mentore” deve essere lì a consigliare, mediare, stimolare la semina, seguire la crescita e congratularsi per il raccolto.