Una delle varie ipotesi (che sono tassativamente elencate dalla legge del 1970, all’art. 3) in cui è possibile la domanda di divorzio ricorre quando siano passati almeno tre anni dall’udienza presidenziale di comparizione dei coniugi in sede di separazione legale.
Presupposto fondamentale per l’accoglimento della domanda di divorzio è l’accertamento della definitiva impossibilità di riprendere la vita in comune, il venir meno dunque della comunione spirituale e materiale tra i coniugi e che non lascia altro rimedio se non il divorzio stesso.
Il ricorso per chiedere il divorzio può essere congiunto o giudiziale: nel primo caso i coniugi che sono d’accordo sulle condizioni da attuare, presentano insieme il ricorso davanti al Tribunale; nel secondo invece, proprio perché non vi è accordo sulle condizioni da attuare per il ricorso, basterà l’iniziativa di uno dei due coniugi.
Anche nel divorzio, come nella separazione personale, il giudice deve tentare la conciliazione sentendo i coniugi prima separatamente e poi insieme, per accertare la loro reale intenzione di porre fine al matrimonio e l’impossibilità di una riconciliazione; nel caso in cui tale riconciliazione non riesca il presidente, sentiti ove necessario e in relazione anche all’età, i figli, emette gli eventuali provvedimenti urgenti e necessari nell’interesse sia dei figli stessi che dei coniugi; nomina poi un giudice istruttore e fissa l’udienza di comparizione che si terrà davanti a quest’ultimo.
Nel caso in cui la causa dovesse proseguire per le controversie economiche, il Tribunale può emettere intanto una sentenza parziale relativa allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio emettendo poi sentenza definitiva quando avrà deciso in merito a tali controversie.
1) LE CONSEGUENZE DEL DIVORZIO
Una volta pronunciata sentenza di divorzio l’ufficiale di stato civile del luogo in cui il matrimonio è stato trascritto provvederà, su ordine del Tribunale, alla sua annotazione; quando la sentenza è passata in giudicato si verificano determinate conseguenze:- la moglie perde il cognome del marito, eccezion fatta per alcuni casi in cui, per una maggior tutela sua o dei figli, sia possibile mantenerlo (questa è una novità introdotta con la legge di modifica del 1987 citata in epigrafe);
- cessano tutti i doveri e i diritti legati al matrimonio tra i quali la coabitazione, il dovere di assistenza reciproca morale e materiale, il dovere di fedeltà, ma non cessano gli obblighi verso i figli; con la sentenza di divorzio infatti vengono anche regolati i rapporti di entrambi i genitori con gli stessi:
- il Tribunale decide in merito al loro affidamento che con l’introduzione della L n. 54/2006 può essere congiunto o alternato;
- il Tribunale determina in quale modo i genitori contribuiscono, anche economicamente, all’istruzione ed educazione dei figli stabilendo anche, per il genitore che non convive con gli stessi, l’entità e le modalità con cui dovrà versare il contributo; - cessa la comunione dei beni;
- con la sentenza di divorzio inoltre, il tribunale stabilisce l’eventuale obbligo per uno dei due coniugi, di versare periodicamente un assegno di divorzio che ha natura assistenziale, elargito solo nel caso in cui l’altro coniuge non abbia mezzi propri adeguati al suo sostentamento e l’impossibilità oggettiva di procurarseli;
per mezzi adeguati si intende tutto ciò che può consentire al coniuge “debole” un tenore di vita analogo a quello tenuto in costanza di matrimonio.
Per valutare la necessità e l’entità di tale assegno il Giudice dovrà verificare le situazioni economiche di entrambi i coniugi e il contributo che ognuno dava al sostentamento della famiglia, verificando i relativi redditi e cespiti patrimoniali; una volta fatte tali verifiche, allora il giudice potrà determinare l’ammontare di tale assegno.
E’ ovvio che nel caso in cui invece non sussista alcuna sproporzione economica tra i coniugi non verrà versato alcun assegno, fatta naturalmente eccezione per il contributo a favore dei figli.