Con la pronuncia n. 7 del 22 gennaio 2024 la Corte costituzionale ha riaffermato la legittimità delle norme sull'applicabilità e l'importo degli indennizzi in caso di licenziamenti collettivi illegittimi, contenute nel Dlgs 23/2015 , attuativo della legge delega 183 2014 , il cd Jobs Act del Governo Renzi.
Vediamo in dettaglio il contenuto e le conseguenze della decisione
Legittimità costituzionale della disciplina sui licenziamenti collettivi: i dubbi della Corte di Appello
La questione era stata sollevata dalla Corte d’appello di Napoli, sezione lavoro, in particolare sugli artt. 3, comma 1, e 10 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 nel corso del giudizio di impugnazione del licenziamento, ad una lavoratrice assunta in data 1° maggio 2016, a conclusione di una procedura di licenziamento collettivo per «riduzione del personale»
La Corte rimettente aveva dichiarato con sentenza parziale l’illegittimità dell’impugnato licenziamento per violazione dei criteri di scelta, e aveva disposto la prosecuzione del giudizio ai soli fini dell’individuazione delle conseguenze sanzionatorie, ricordando che per la lavoratrice assunta dopo il 7 marzo 2015, il decreto 23 2015 prevede , l’estinzione del rapporto e condanna il datore di lavoro al pagamento di una indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale «in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità»
Il giudice esprimeva quindi dubbi in particolare sui seguenti aspetti
- legittimità costituzionale dell’art. 10 del d.lgs. n. 23 del 2015, in quanto avrebbe modificato la disciplina sanzionatoria per la violazione dei criteri di scelta dei lavoratori in esubero nell’ambito di un licenziamento collettivo, pur in assenza di una specifica delega , con un intervento eccedente in quanto nella legge delega si faceva riferimento a modifiche in tema di " licenziamenti economici" e non ai licenziamenti collettivi, che rientrerebbero invece in un "corpo normativo unitario e completo,autonomamente disciplinato."
- In secondo luogo, il giudice evidenziava il contrasto dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015, con gli artt. 3, 4, 24, 35 e 111 Cost., nella parte in cui, per la stessa violazione dei criteri di scelta, disporrebbe, irragionevolmente, una sanzione per i soli lavoratori assunti a tempo indeterminato successivamente al 7 marzo 2015. I dubbio riguardava in particolare il fatto di assoggettare il datore a regimi sanzionatori disomogenei, sulla base dell'anzianità dei lavoratori , per una invece identica violazione dei criteri di scelta che viene viene riparata :
- con la reintegra del rapporto di lavoro eprevidenziale per i lavoratori assunti a tempo indeterminato fino al 7 marzo 2015, ed
- solo con un indennizzo forfettario, basato su una nozione di retribuzione, non onnicomprensiva ed inadeguata ad assicurare il ristoro effettivo del danno subito ovvero l'illegittima perdita del posto di lavoro , per i lavoratori assunti successivamente.
infine in presenza di una violazione di parametri selettivi oggettivi e solidaristici, l'indennizzo forfettizzato non costituirebbe un "affievolimento del ristoro del pregiudizio causato tanto da non garantire una sanzione efficace ed effettiva in caso di violazione dei criteri di scelta".
La pronuncia della Consulta sugli indennizzi per licenziamento illegittimo
La Corte costituzionale nella pronuncia ripercorre tutto il quadro normativo e afferma invece il disaccordo sui tre profili di non manifesta infondatezza delle norme in questione, precisando che
- sull' eccesso di delega delle norme riferite ai licenziamenti collettivi la Consulta ritiene che il termine utilizzato nella legge "licenziamenti economici" in quanto atecnico può essere utilizzato in senso onnicomprensivo per includere, sia la categoria dei licenziamenti individuali “economici”...sia i licenziamenti collettivi con riduzione di personale per “ragioni di impresa”, che sono di fatto anch' essi “economici”»
- Sulla violazione del principio di eguaglianza di trattamento per la stessa violazione verso i lavoratori, la Consulta ricorda la giurisprudenza precedente per la quale «non contrasta, di per sé, con il principio di eguaglianza un trattamento differenziato applicato alle stesse fattispecie, ma in momenti diversi nel tempo, poiché il fluire del tempo può costituire un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche» e non ritiene quindi illegittima la disciplina introdotta del dlgs 23 2015.
- Infine a Corte costituzionale ritiene adeguata l'indennità di risarcimento individuata dal decreto (che va da 4 a 36 mensilità di retribuzione) in quanto non contrasta il principio di "adeguato contemperamento degli interessi in conflitto".
La corte in conclusione indirizza al legislatore l'invito ad intervenire nella disciplina attuale,estremamente complessa , solo con interventi complessivi volti a semplificare pur rispettando sia i criteri distintivi tra i regimi applicabili ai diversi datori di lavoro, rispettando sia la funzione dissuasiva dei rimedi previsti per le disparate fattispecie». pronuncia n. 7 del 22 gennaio 2024