Sul salario minimo, di forte attualità per il disegno di legge in discussione e il parere negativo del CNEL , si segnalano due rilevanti sentenze di Cassazione.
Nelle pronunce n. 28320 e 28321 i giudici mettono di nuovo fortemente in dubbio l'unico principio finora condiviso ovvero il valore della contrattazione collettiva nel fissare minimi retributivi che rispettino l'art 36 della Costituzione . articolo che prescrive la necessita di salari proporzionati e sufficienti ad assicurare una vita dignitosa ai lavoratori.
Giova ricordare che anche la direttiva europea sul salario minimo richiede l'intervento legislativo degli stati membri in particolare nei settori che non registrano una sufficiente percentuale di contratti collettivi per cui quello della contrattazione tra le parti appare come un principio che di per sé dovrebbe garantire la legalità del livello dei salari.
Nella sentenza 28320 invece i giudici ricordano che in una elaborazione di oltre settant'anni ( si cita una prima sentenza in merito del 1051) il giudice è chiamato in causa in ultima istanza in quanto il riferimento al salario di cui al CCNL integra solo una presunzione relativa di conformità alla Costituzione, suscettibile di accertamento.
Si sottolinea anche che il trattamento retributivo all'art. 36 Cost. può fare riferimento - come parametri esterni per la determinazione del giusto corrispettivo - alla retribuzione stabilita dai contratti collettivi nazionali di categoria, i quali fissando standard minimi inderogabili validi su tutto il territorio nazionale, finiscono così per acquisire, per questa via giudiziale, un'efficacia generale, sia pure limitata alle tabelle salariali in essi contenute.
Nella sentenza si osserva anche la "carenza a tutt'oggi di altri meccanismi tali da garantire in concreto ad ogni individuo che lavora nel nostro Paese il diritto ad un salario minimo giusto o altrimenti una soddisfazione automatica o un controllo documentale della corretta erogazione del salario costituzionale, all'infuori di una controversia processuale (o di un accertamento ispettivo)".
Il caso analizzato nella sentenza 28320 2023 (QUI il testo integrale) in particolare riguardava alcuni dipendenti di una spa con mansioni di portiere(/ addetti alla guardiania delle sedi sociali , che svolgevano la loro prestazione lavorativa prevalentemente nel turno notturno (dalle ore 19,40 alle ore 06,50) senza pausa, per 11 ore e 10 minuti. Erano inquadrati nel livello D ccnl per i dipendenti di istituti ed imprese di vigilanza privata servizi fiduciari e percepivano un netto mensile di euro 863,00 per tredici mensilità, ossia una paga oraria di euro 5,49; affermavano inoltre che non avevano mai percepito la maggiorazione per il lavoro notturno.
La corte di appello dichiarava nullo l'art . 23 del ccnl servizi fiduciari riguardante il minimo salariale.
A seguito delle sentenze a sfavore la società ricorreva in cassazione affermando il diritto di retribuire i dipendenti secondo quanto previsto dal CCNL sottoscritto dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (CGIL e CISL) e coerente con il settore merceologico in cui opera, ossia quello dei servizi di portierato / reception svolti per conto di terzi.
Affermava inoltre che l'art. 36 Cost. è invocabile solo "per i rapporti non tutelati da contratto collettivo". In questo modo sarebbe "garantita l'autonomia delle parti sociali e, in ultima analisi, il principio di libertà e di autonomia sindacale ex art. 39 Cost.
La cassazione giudica inammissibile e infondata tale affermazione, confermando quanto stabilito dalla Corte territoriale
I giudici affermano innanzitutto che :
Restringere la portata precettiva dell'art. 36 Cost. ai soli rapporti di lavoro non tutelati dal contratto collettivo è un'interpretazione non condivisibile, perché non
giustificata dal dato normativo. Anzi, la verifica giudiziale si impone proprio qualora - come nel caso in esame - risulti che il trattamento economico previsto dalle parti sociali sia appena di qualche euro sopra la soglia di povertà accertata con riguardo al contratto collettivo (Cass. n. 2245/2006, ; Cass. ord.n. 546/2021).
La cassazione ribadisce inoltre che la Costituzione prescrive anche un salario conforme ai concetti di sufficienza e di proporzionalità che mirano a garantire al lavoratore una vita non solo "non povera" bensi "dignitosa ".
Su punto , ricorda , anche la recente Direttiva UE sui salari adeguati all'interno dell'Unione n. 2022/2041 individua la necessità del conseguimento non solo dei beni necessari al puro sostentamento anche di beni immateriali ("attività culturali, educative e sociali').
Pertanto, nell'ambito dell'operazione di raffronto tra il salario di fatto e salario costituzionale il giudice è tenuto ad effettuare una valutazione coerente e funzionale allo allo scopo, rispettosa dei criteri giuridici della sufficienza e della proporzionalità.
A tal fine non potrà perciò assumere a riferimento la retribuzione lorda (che non si riferisce ad un importo interamente spendibile da un lavoratore e confrontarlo con l'indice ISTAT di povertà (che riguarda invece la capacità di acquisto immediata di determinati beni essenziali).
Il livello Istat di povertà non costituisce un parametro diretto di determinazione della retribuzione ma individua semplicemente una soglia minima invalicabile non indicativa del raggiungimento di livello del salario minimo costituzionale che, appunto, deve assicurare una vita dignitosa ai lavoratori.