Con Risposta a interpello n 330 del 23 maggio le Entrate chiariscono aspetti dell'obbligo di riversamento di qualsiasi compenso spettante all'amministratore dipendente di una società e versato direttamente ad altra società, entrambi appartenenti ad un unico gruppo.
Si chiariscono inoltre aspetti sulla deducibilità del costo per l'impresa che eroga il compenso ed eventuale ritenuta da operare all'atto del pagamento.
Nel dettaglio, la società istante fa parte di un gruppo, unitamente ad una srl consociata. Quest'ultima annovera tra i suoi dipendenti un soggetto che nel corso del 2021 ha svolto l'incarico di Consigliere di Amministrazione per la società italiana.
L'istante precisa che nel 2021, la società UE ha stipulato un accordo con il dipendente citato, sulla base del quale quest'ultimo ha un obbligo di riversamento di qualsiasi compenso a lui spettante, in qualità di amministratore delle altre società del Gruppo.
Coerentemente con la suddetta clausola contrattuale, di cui la società UE ha informato la società istante, nel 2021 l'assemblea dei soci dell'istante ha deliberato di riconoscere in favore del dipendente suddetto un compenso lordo, per l'esercizio 2021, e di corrispondere il suddetto compenso direttamente alla consociata UE, come espressamente richiesto da quest'ultima.
La società istante chiede di conoscere il corretto trattamento fiscale del compenso di amministratore, da riversare alla società consociata UE con riguardo:
In merito ai compensi reversibili, l'articolo 51, comma 2, lettera e), del TUIR dispone che non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente i compensi reversibili di cui alle lettere b) ed f) del comma 1 dell'articolo 50 del TUIR.
Al riguardo, la citata lettera b) assimila ai redditi di lavoro dipendente le indennità e i compensi percepiti a carico di terzi dai prestatori di lavoro dipendente per incarichi svolti in relazione a tale qualità.
Si tratta di somme e valori che il prestatore di lavoro percepisce da soggetti diversi dal proprio datore di lavoro per incarichi svolti in relazione alle funzioni della propria qualifica e in dipendenza del proprio rapporto di lavoro quali, ad esempio,
La predetta disposizione normativa esclude dal novero dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, insieme ai compensi che per legge devono essere riversati allo Stato, quelli che per clausola contrattuale devono essere riversati al datore di lavoro. Tale esclusione, tuttavia, non comporta la loro qualifica come redditi di lavoro dipendente.
Al riguardo, il paragrafo 2.2.5 della circolare n 326/97 del MEF ha chiarito che i compensi reversibili richiamati dal citato articolo 51 non solo non costituiscono reddito assimilato a quello dipendente, ma non devono essere assoggettati a tassazione neanche quali redditi di lavoro dipendente, in quanto sono imputati direttamente al soggetto al quale, per clausola contrattuale, devono essere riversati.
Inoltre, il Ministero delle Finanze, con Nota n. 8/166 del 17 maggio 1977, ha riconosciuto che non concorrono alla determinazione del reddito complessivo soggetto all'IRPEF ''i compensi reversibili percepiti dai collaboratori coordinati e continuativi tra i quali rientrano i consiglieri di amministrazione. E ciò in base al principio generale secondo cui non si configurano quale reddito imponibile di un soggetto le somme di cui egli non ottenga in alcun modo la disponibilità''.
Ciò a condizione che ''risulti documentato l'effettivo riversamento alle società ed enti destinatari dei compensi medesimi'' (cfr. anche Nota n. 8/196 del 1980).
Sulla base dei chiarimenti resi con i citati documenti di prassi, si ritiene, quindi che i compensi corrisposti al dipendente in relazione all'incarico di consigliere di amministrazione della società istante, non assumano rilevanza per tale soggetto ai fini della determinazione del reddito.
Al riguardo, si osserva che egli non ha alcuna disponibilità delle somme erogate in ragione dell'incarico direttivo svolto.
Dall'esame della comunicazione inviata dalla società istante alla consociata UE, si evince che il compenso del citato dipendente verrà direttamente ed integralmente pagato alla consociata.
Tale circostanza è ulteriormente confermata dalla delibera di riconoscimento del compenso, corrisposto direttamente alla consociata UE.
Per quanto attiene al trattamento da riservare a dette somme in capo alla società istante, si ritiene che la società istante debba considerare deducibile secondo il criterio generale di competenza l'importo pagato alla consociata UE per l'attività di direzione svolta dal dipendente.
Inoltre, specificano le Entrate, il pagamento deve essere correttamente inquadrato come reddito d'impresa, atteso che il pagamento, pur formalmente riferibile al lavoro prestato dal consigliere di amministrazione, è effettuato direttamente tra le due società consociate senza alcun riversamento da parte del dipendente a favore de proprio datore di lavoro.
Ciò comporta, ai fini convenzionali e nel presupposto che la consociata UE non abbia una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, che i compensi erogati dall'istante alla società UE siano qualificabili come reddito d'impresa in capo a quest'ultima e tassabili esclusivamente nel suo Stato di residenza e, simmetricamente, siano costi deducibili in capo alla società istante, secondo il criterio generale di competenza di cui all'art. 109 del TUIR.
Pertanto, non può applicarsi l'articolo 16 della citata Convenzione, che prevede una potestà impositiva concorrente per le retribuzioni che un residente di uno Stato contraente riceve come membro del consiglio di amministrazione o del collegio sindacale di una società residente nell'altro Stato contraente. Nel caso in esame, in effetti, il pagamento è effettuato direttamente alla consociata e non al dipendente.
La non imponibilità dei compensi nel territorio dello Stato, per effetto della disposizione convenzionale (tra l'italia e il paese di residenza della consociata) di cui all'art. 7, nonché per effetto delle disposizioni domestiche, di cui all'art. 23, comma 1, lett. c), del TUIR e all'art. 24, comma 1 ter, del D.P.R. 600/1973, conferma l'insussistenza di un obbligo, in capo alla società istante, di effettuare la ritenuta a titolo d'imposta, all'atto del pagamento della somma.
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