Nel diritto tributario ci sono questioni che sono complicate e questioni che sono semplici; ma talvolta ci sono anche questioni semplici che si complicano.
La recente sentenza numero 29342 della Corte di Cassazione, datata 7 ottobre 2022, tratta del semplicissimo caso in cui il valore di una consulenza era stata stabilita contrattualmente tra le parti e, a consulenza conclusa, l’imprenditore aveva corrisposto al professionista, senza nessuna pretesa da parte sua, un maggior corrispettivo per la prestazione.
Il caso non è così inusuale come può sembrare: alcune consulenze possono rivelarsi più onerose del previsto per colui che le presta, oppure il professionista può ottenere un risultato tanto soddisfacente da indurre l’imprenditore a elargire un bonus.
Del resto i bonus usati come incentivi per i collaboratori, anche non contrattualmente previsti e determinati, non rappresentano una pratica estranea alla sfera degli usi.
Essendo questi compensi elargiti nel contesto di una consulenza inerente all’attività dell’impresa, e come tale deducibile, si potrebbe facilmente ritenere che lo sia anche il maggior costo derivante dalla revisione del corrispettivo, in seguito ad accordo, possibilmente anche verbale.
Invece l’inaspettata sentenza 29342/2022 ci dice che non è così.
La Corte di Cassazione emana il seguente principio di diritto: “in materia di costi deducibili dal reddito d’impresa […] non è inerente all'attività d'impresa il maggior compenso che il contribuente si sia spontaneamente offerto di pagare alla controparte per remunerare prestazioni di consulenza già ricevute ed effettuate in esecuzione di un titolo contrattuale che prevedeva in anticipo, per i medesimi servizi, un minor corrispettivo predeterminato”.
Secondo la Corte, infatti, “l’attribuzione patrimoniale aggiuntiva in questione non è compatibile, coerente e correlata, quale costo, all'attività imprenditoriale svolta idonea a produrre redditi”, in quanto “la volontaria assunzione dell’obbligo di pagare ulteriori somme, per le medesime prestazioni ricevute, pone la causa concreta del surplus del costo al di fuori della corrispettività con l’attività funzionale all’impresa, rendendolo fiscalmente neutro”.
Puntualizzando che nella situazione in esame non si rileva nessuna ipotesi di evasione o elusione, dato che il maggior costo per l’impresa è anche maggior ricavo per il professionista, fondamentalmente, secondo la Corte di Cassazione, il costo deducibile e inerente è quello rappresentato dal corrispettivo pattuito contrattualmente; la maggiorazione spontaneamente elargita dall’imprenditore non sarà deducibile in quanto, semplificando per chiarezza, inquadrabile come una sorta di regalia.
Da un punto di vista teorico possibilmente questa interpretazione può considerarsi coerente con il diritto, ma chi scrive dubita del fatto che sia anche rappresentativa di una corretta rappresentazione della realtà, dalla quale il diritto tributario dovrebbe stare attento a non discostarsi troppo.