La Cassazione ha ribadito con l'ordinanza 24836 2022 che il lavoratore che usufruisce dei permessi previsti dalla legge 104/1992 per assistere il familiare disabile non può essere trasferito ad altra sede di lavoro, senza il suo consenso, anche se la persona assistita non si trova in condizione di handicap grave. Necessario però provare la necessità di assistenza continuativa. Inoltre la corte deve valutare il bilanciamento con le «esigenze aziendali effettive ed urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte»
Il caso oggetto dell'ordinanza costituisce un esempio chiaro anche se l'iter è stato prolungato e articolato: era giunto all'attenzione della Suprema Corte già nel 2013.
La ricorrente era una lavoratrice licenziata da una spa per non aver rispettato l’ordine di trasferimento dalla sede di Roma a quella di La Spezia .
La lavoratrice ha agito in giudizio nei confronti della società datoriale in quanto faceva presente di aver ottenuto dall'Inps il riconoscimento del diritto a beneficiare dei permessi di legge n. 104 del 1992 per prestare assistenza alla madre invalida e ne aveva dato comunicazione alla società. Non si era presentata alla nuova sede di lavoro presentando tali giustificazioni e aveva fatto presente di aver anche richiesto all'Inps un congedo straordinario.
Sia il Tribunale di Roma che la Corte d’appello di Roma hanno respinto l’impugnazione del licenziamento mentre con sentenza n. 25379 del 2013, la Corte di Cassazione ha dato ragione alla lavoratrice cassando con rinvio la sentenza d’appello.
Tale pronuncia era in continuità con la sentenza n. 9201/2012, secondo cui "la disposizione dell'art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, laddove vieta di trasferire, senza consenso, il lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati - alla luce dell'art. 3, secondo comma, Cost., dell'art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 sui diritti dei disabili. Cio significa che il trasferimento del lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare, che egli assiste, non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica del familiare, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte".
La sentenza affermava che la Corte territoriale non avrebbe dovuto fermarsi alla mancanza di documentazione sull'invalidità grave della madre ma procedere ad una valutazione della necessità di assistenza (eventualmente sulla base della documentazione disponibile) a fronte delle esigenze produttive sottese al trasferimento.
A seguito della cassazione con rinvio , nella nuova sentenza la Corte territoriale ha confermato l’adesione al principio per cui la tutela della legge 104 non richiede una situazione di gravità dell’handicap del familiare assistito, ma ha specificato anche , nel merito, che la lavoratrice non aveva assolto all’onere di dimostrare la necessità di assistenza della madre in quanto i certificati medici rilasciati erano in parte risalenti al 1988 mentre quelli coevi erano stati rilasciati immediatamente dopo il provvedimento di trasferimento ed effettivamente fino alla data del provvedimento di trasferimento, la ricorrente non aveva mai avanzato richiesta di permessi.
D'altro canto invece vengono ritenute " effettive e urgenti " le ragioni organizzative e produttive aziendali poste a base del trasferimento .
Il nuovo ricorso della lavoratrice viene quindi respinto dalla Cassazione perche la seconda sentenza di appello si basa su una corretta valutazione complessiva del bilanciamento tra le due esigenze in gioco e risulta legittima.
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