Con la sentenza 125/2022 la Corte Costituzionals ha stabilito un principio fondamentale riguardante la tutela ai lavoratori nel caso di licenziamento per giustificato motivo il cosiddetto motivo economico, contenuto nell'articolo 18 della legge 300 1970 (Statuto dei lavoratori) , nel testo modificato dalla riforma Fornero 92 20212 . Il giudizio avrà un impatto diretto non solo sulle prossime sentenze ma anche sulle liti in corso.
Nella decisione ricordiamo si afferma che il giudice non è tenuto ad accertare che l’insussistenza del fatto posto a base del licenziamento economico sia "manifesta" (settimo comma, secondo periodo).
Secondo il giudice rimettente (Tribunale di Ravenna) vi sarebbe, in primo luogo, «una ingiustificata, irrazionale ed illegittima differenziazione» tra il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, da un lato, e il licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, dall’altro lato. Solo nella prima fattispecie sarebbe richiesta – ai fini della reintegrazione del lavoratore – una insussistenza manifesta del fatto e tale trattamento differenziato sarebbe sprovvisto di una plausibile ragion d’essere. IL vulnus al principio di eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.) si coglierebbe anche nel raffronto con la disciplina dei licenziamenti collettivi, che – nel caso di violazione dei criteri di scelta – concede la reintegrazione, invece preclusa per i licenziamenti individuali determinati da ragioni economiche.
Inoltre il criterio individuato dal legislatore sarebbe, inoltre, «intrinsecamente illogico», in quanto incerto nella sua applicazione concreta e carente di un «preciso e concreto metro di giudizio», idoneo a definire il carattere manifesto dell’insussistenza del fatto.
Infine il giudice ritiene che l’inversione dell’onere della prova costituisce una scelta penalizzante per il lavoratore.
La Corte costituzionale nella pronuncia 125 2022 concorda di fatto con il giudice rimettente e afferma che l'“insussistenza del fatto”, legato alle motivazioni economiche, produttive e organizzative che conducono al licenziamento deve riguardarel'effettività e alla genuinità della scelta imprenditoriale”. In sostanza il giudice deve valutare se la scelta è legittima, non se è congrua o opportuna.
La Corte ha affermato infatti che il requisito specificato dalla norma, della "manifesta insussistenza" è, anzitutto, indeterminato e si presta, a incertezze applicative, con conseguenti disparità di trattamento.
Inoltre, la sussistenza di un fatto è nozione difficile da graduare, mentre l’accertamento del giudice non puo che definirla "in termini positivi o negativi”.
Il criterio della manifesta insussistenza , afferma la Corte “risulta eccentrico nell’apparato dei rimedi, usualmente incentrato sulla diversa gravità dei vizi e non su una contingenza accidentale"
La Consulta considera infatti che nelle controversie in materia di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo si è spesso in presenza di un quadro probatorio articolato e già accertare la sussistenza o insussistenza di un fatto è di per sé un’operazione complessa
La prescrizione della attuale norma invece prevede che le parti, e con esse il giudice, si debbano impegnare “nell'ulteriore verifica della più o meno marcata graduazione dell’eventuale insussistenza", con un “aggravio irragionevole e sproporzionato” sull’andamento del processo: all’indeterminatezza del requisito si affianca una irragionevole complicazione sul fronte processuale.
Per questo la Corte individuando uno squilibrio tra i fini del legislatore, -ovvero una più equa distribuzione delle tutele, attraverso decisioni più rapide e più facilmente prevedibili – e i mezzi adottati per raggiungerlo, ha giudicato costituzionalmente illegittima a formulazione dell'articolo 18, settimo comma, della legge 300/1970.
Importante ricordare che l’efficacia nel tempo della dichiarazione di illegittimità costituzionale è disciplinata dall’articolo 136 della Costituzione e dall’articolo 30, comma 3, della legge 87/1953 per il quale le norme dichiarate incostituzionali cessao non di avere efficacia e non possono più trovare applicazione a partire dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza (dal 20 maggio 2022).
Su questo sia la dottrina che la giurisprudenza di legittimità hanno affermato che «le pronunce di accoglimento della Corte Costituzionale hanno effetto retroattivo, inficiando fin dall’origine la validità e l’efficacia della norma dichiarata contraria alla Costituzione, salvo il limite delle situazioni giuridiche consolidate» (cfr. per tutte Cassazione civile sez. II, 13/02/1999, n.1203).
Dunque l'illegittimità costituzionale dichiarata dalla Corte con sentenza 125/2022 è immediatamente applicabile anche ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo intimati prima del 20 maggio 2022, giorno successivo alla pubblicazione della sentenza
Solo i casi per i quali sia già scaduta i termini di decadenza o quelli definiti con senenza passata in giudicato sono esclusi
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