Con Risposta a interpello n 309 del 27 maggio 2022 le Entrate forniscono un chiarimento sul recupero dell'IVA nel caso di un creditore fallimentare cessato.
L'istante riferisce di aver emesso nei confronti di una società varie fatture, aventi ad oggetto un servizio di consulenza e di valutazione economica e progettazione.
Il committente è fallito prima di saldare le suddette fatture e l'istante ha chiesto l'ammissione del credito al passivo fallimentare; il curatore, accogliendo l'istanza, ha iscritto la somma tra i crediti chirografari.
La procedura concorsuale si è conclusa con il «piano di riparto finale con perdita da parte dell'istante del proprio credito», cui ha fatto seguito il decreto di chiusura del fallimento emesso
Pur essendo stati soddisfatti tutti i presupposti per l'esercizio del diritto alla detrazione dell'IVA - ai sensi dell'articolo 26 comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (di seguito decreto IVA) vigente ratione temporis, visto che:
tuttavia, l'istante avendo chiuso la partita IVA prima del deposito del piano di riparto
Ciò premesso, chiede, dunque, di poter recuperare l'IVA non incassata mediante istanza di rimborso ex articolo 30-ter del decreto IVA.
Le Entrate replicano che, secondo quanto descritto nell'istanza e rilevabile dai documenti allegati, sembra che le condizioni per emettere la nota di variazione si siano perfezionate con la scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto depositato dal curatore
A tale data, tuttavia, l'istante risulta aver cessato la propria attività.
Nel presupposto, non verificabile nell'interpello, che l'istante abbia assolto a tutti gli adempimenti conseguenti alle operazioni attive e passive effettuate fino alla data di cessazione dell'attività (le operazioni di cui si discute risultano dall'istanza essere state documentate e, presumibilmente, l'IVA ad essa relativa assolta), non si ravvisano motivi per ritenere illegittima la chiusura della partita IVA pur in pendenza di un fallimento dagli esiti incerti (ai fini della chiusura dell'attività ai sensi dell'art. 35, comma 4, del decreto IVA, infatti, non rileva la riscossione dei crediti) né sembrano ricorrere le condizioni per richiederne la riapertura al fine di recuperare il credito IVA rimasto insoluto.
Pertanto, nel rispetto del principio di neutralità su cui si impernia l'intera disciplina dell'Imposta sul valore aggiunto, per effetto del quale deve essere garantito al contribuente il mezzo per recuperare l'imposta addebitata in rivalsa e non incassata, si ritiene che la fattispecie descritta, legittima cessazione dell'attività e chiusura della partita IVA in pendenza della procedura concorsuale - possa essere ricondotta tra quelle ipotesi "residuali ed eccezionali" per cui sussistono «condizioni oggettive», non imputabili ad una "colpevole" inerzia del contribuente, «che non consentono di esperire il rimedio di ordine generale (nel caso di specie, l'emissione di una nota di variazione in diminuzione)».
L'istante può, dunque, presentare all'ufficio competente apposita istanza di rimborso, ex articolo 30-ter del decreto IVA al fine di recuperare il credito rimasto insoluto, previa dimostrazione di aver assolto correttamente tutti gli adempimenti di legge e di aver fatto concorrere a suo tempo l'IVA addebitata in rivalsa nella liquidazione periodica e annuale di riferimento.
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