Con la Risposta a interpello n 187 dell'8 aprile 2022 le Entrate chiariscono dettagli sulla presentazione di dichiarazioni integrative ex articolo 2, c. 8, dPR 22 luglio 1998, n.322.
Veniva domandato se fosse possibile recuperare l'IRAP versata in misura superiore in applicazione del metodo c.d. "retributivo" presentando, entro il 21 dicembre 2022, una dichiarazione integrativa a favore, ex articolo 2, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, per ciascun periodo d'imposta dal 2016 al 2019.
L'istante afferma di avere determinato l'Imposta regionale sulle attività produttive per i periodi d'imposta anteriori al 2016, avvalendosi dell'opzione per il metodo c.d. "commerciale", prevista dall'articolo 10-bis, comma 2, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, vista la presenza di personale comunale impiegato, al 100% o promiscuamente, anche in servizi rilevanti ai fini IVA. Detta opzione ha consentito un notevole risparmio d'imposta, dato che i conti economici aggregati relativi alle attività considerate commerciali sono risultati sempre in perdita.
Successivamente, l'istante ha iniziato a versare l'IRAP sulle retribuzioni di tutti i dipendenti senza tener conto delle percentuali del personale impiegato nei servizi commerciali, e senza più predisporre il conto economico aggregato delle attività commerciali riferendo che la "nuova" modalità di determinazione dell'IRAP è stata « determinata dal cambio di gestionale informatico e da un'errata presunzione circa le potenzialità del nuovo sistema», e non da una precisa volontà di revocare l'opzione o dal venir meno dei presupposti per l'utilizzo del metodo c.d. "commerciale", non essendoci stati mutamenti nei servizi commerciali resi all'utenza e nei risultati di conto economico, caratterizzati da una costante perdita.
Ciò detto, chiede se sia possibile recuperare l'IRAP versata in misura superiore in applicazione del metodo c.d. "retributivo" presentando, entro il 21 dicembre 2022, una dichiarazione integrativa a favore.
Secondo l'agenzia nel caso di specie, l'adozione a partire dal 2016 del metodo retributivo anche per le attività commerciali (e, conseguentemente, la revoca del metodo commerciale) non sembra essere stata determinata esclusivamente dall'errata funzionalità del "nuovo sistema gestionale", avendo l'istante scelto:
adottando, quindi, un "comportamento concludente" per ben quattro periodi d'imposta, ovvero fino alla nuova opzione esercitata solo nel 2020.
Non si ravvisa pertanto alcun "errore" da rettificare, ma solo una scelta per un metodo di calcolo dell'imposta che ora si vuole modificare, rispetto alla quale non è consentito il ricorso alla dichiarazione integrativa di cui all'articolo 2, comma 8, del DPR n. 322 del 1998, destinata alla correzione di «errori od omissioni, compresi quelli che abbiano determinato l'indicazione di un maggiore o di un minore imponibile o, comunque, di un maggiore o di un minore debito d'imposta ovvero di un maggiore o di un minore credito [...]».
A tal riguardo, con la risoluzione n. 325/E del 14 ottobre 2002, è già stato chiarito che le opzioni «anche se inserite in manifestazioni non dispositive o, per usare un termine comune in dottrina in "dichiarazioni di scienza" quali le dichiarazioni dei redditi, al pari di qualsiasi altra manifestazione di volontà negoziale non possono essere "rettificate" che in presenza di dolo, violenza o errore. In particolare l'errore, quale vizio della volontà, deve possedere i requisiti della rilevanza e dell'essenzialità e non deve cadere sui "motivi" della scelta, vale a dire sulle mere finalità che hanno indotto il contribuente a porre in essere un determinato comportamento.»
La dichiarazione integrativa è, quindi, finalizzata a correggere errori od omissioni nell'indicazione di elementi funzionali alla determinazione del reddito imponibile e non anche a modificare scelte più o meno favorevoli; non essendo ammissibile la presentazione di una dichiarazione integrativa per ripensare una scelta rivelatasi a posteriori sfavorevole, non ravvisandosi, in tale ipotesi, un vizio della volontà determinato dalla presenza di un errore grave ed essenziale.