Con la sentenza numero 156, pubblicata il 10 gennaio 2021, la Corte di cassazione si occupa di una problematica, di rilevanza penale, che riguarda i commercialisti e, in generale, i professionisti del settore fiscale e contabile.
La questione che viene affrontata sono le condizioni di responsabilità del professionista nei reati di:
Che le situazioni in esame si risolvano nella rilevanza penale, quando il contributo è diretto, è questione pacifica; ma la sentenza prende in esame il diverso caso in cui i reati possono essere contestati al professionista a titolo di concorso, insieme ai soggetti che sono gli attori principali.
La Corte di Cassazione ci spiega che il concorso del professionista nei reati di cui sopra può assumere forme “differenziate e atipiche”: il punto essenziale è che vi sia, da parte del professionista, un contributo effettivo.
Che poi questo sia di tipo materiale morale, di tipo partecipativo o solo agevolativo, non costituiscono differenziazioni determinanti: ciò che importa è che sia stato apportato un contributo “apprezzabile” nella commissione del reato.
Travalicando l’astratto e poggiando i piedi più saldamente sulla concretezza delle fattispecie, la Corte analizza la situazione in cui un professionista aveva come cliente due società, la cui contabilità presentava rilevanti anomalie contabili: notevoli prelievi in contanti ed emissione di autofatture di non trascurabile importo.
Nella situazione esaminata, al commercialista non è stata contestata la partecipazione diretta all’atto criminoso, ma indiretta, attraverso:
Nello specifico, secondo la Corte di Cassazione, anche solo l’espletamento delle attività tipiche professionali, come la tenuta della contabilità e la predisposizione delle dichiarazioni fiscali, in un contesto documentale fraudolento, costituisce condotta “di sicura agevolazione materiale”; in più, la mancata segnalazione alle autorità delle anomalie contabili rappresenta una “ulteriore forma di contributo partecipativo”.
Le due forme di partecipazione indiretta sono state considerate sufficienti per confermare il reato al professionista.
La sentenza pone il punto sul fatto che il concorso nei reati di cui sopra può essere contestato al professionista non solo per un comportamento attivo, ma anche per un comportamento passivo, quali l’espletamento del proprio incarico professionale senza entrare nel merito della veridicità documentale e la mancata segnalazione delle anomalie contabili.
Il perno della questione è che l’insieme congiunto di questi comportamenti è sufficiente a dimostrare la consapevolezza del commercialista che possa essere in corso un illecito: continuare a prestare consulenza senza segnalare le anomalie, costituisce comportamento agevolativo sufficiente ai fini della contestazione del concorso.
Se la mancata segnalazione costituisce comunque una scelta, di cui il professionista si assume il carico della responsabilità, più delicato e sensibile è il problema della verifica della veridicità della documentazione transitante in contabilità.
Infatti, dalle righe della sentenza si può dedurre che, secondo la Corte di Cassazione, non sia sufficiente l’eventuale buona fede del professionista per esimerlo dal concorso, in quanto questi avrebbe dovuto accertarsi della veridicità degli elementi con cui predisponeva contabilità e dichiarazioni fiscali.
Ciò pone a carico del professionista il difficile onere di dover verificare la veridicità della documentazione presentata dai clienti, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo.
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