Il tempo durante il quale un lavoratore segue una formazione professionale impostagli dal suo datore di lavoro, che si svolge al di fuori del suo luogo di lavoro abituale, nei locali del prestatore dei servizi di formazione, e durante il quale egli non esercita le sue funzioni abituali, costituisce «orario di lavoro" .
Questo quanto afferma la la Corte di giustizia dell’Unione europea, con la sentenza nella causa C-909/19 che ha chiarito la direttiva 2003/88, recepita in Italia con Dlgs 66/2003 in tema di formazione nel posto di lavoro.
Il caso portato all'attenzione della Corte riguardava un dipendente comunale - capo del dipartimento di prevenzione e vigile del fuoco- rumeno, per il quale i giudici avrebbero dovuto decidere se la formazione professionale, fornita da un’impresa esterna, svolta di fuori dell’orario di lavoro e dalla sede di lavoro ordinaria rientrasse o no nel rapporto di lavoro con il comune. Il dipendente chiedeva infatti che le ore straordinarie dopo l'orario di lavoro dedicate a tale attività, gli fossero retribuite come tali.
La corte di giustizia UE, con l'analisi approfondita della direttiva, conferma la legittimità delle richieste del lavoratore.
Viene chiarito che la direttiva 2003/88 intende fornire un quadro armonizzato delle legislazioni nazionali sulla durata dell’orario per assicurare una migliore protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori.
L’articolo 2 della direttiva infatti precisa che :
Inoltre, l’articolo 13 della direttiva (UE) 2019/1152 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, relativa a condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili nell’Unione europea prevede quanto segue: «Gli Stati membri provvedono affinché, qualora un datore di lavoro sia tenuto, a norma del diritto dell’Unione o nazionale o dei contratti collettivi, ad erogare a un lavoratore formazione ai fini dello svolgimento del lavoro per il quale è stato assunto, tale formazione sia erogata gratuitamente al lavoratore, sia considerata come orario di lavoro e, ove possibile, abbia luogo durante l’orario di lavoro».
Queste disposizioni , si afferma nella sentenza, non possono essere oggetto di un’interpretazione restrittiva anche se risultasse compatibile con la normativa nazionale.
Per la normativa rumena, così come interpretata dai giudici nazionali, risulta che il tempo consacrato alla formazione professionale non è preso in considerazione nel calcolo dell’orario di lavoro del lavoratore subordinato, cosicché quest’ultimo ha diritto solo alla retribuzione corrispondente all’orario di lavoro normale, indipendentemente dalla durata e dal periodo dedicato.
Nel testo del provvedimento il giudice del rinvio ricorda che, secondo la giurisprudenza della Corte, la qualificazione di un periodo di presenza del lavoratore come «orario di lavoro» ai sensi della direttiva 2003/88 dipende dall’obbligo per quest’ultimo di essere a disposizione del suo datore di lavoro. Inoltre si osserva che la direttiva distingue periodo di lavoro e periodo di riposo come alternativi, senza prevedere categorie intermedie.
Dunque, se il periodo di formazione è imposto dal datore, anche per obbligo di legge, come nel caso del vigile del fuoco, le condizioni indicate dalla direttiva si realizzano e il dipendente si trova a disposizione del datore anche se in orario al di fuori di quello ordinario e al difuori della sede ordinaria; il luogo è irrilevante, infatti la norma della direttiva non distingue l'ambito di svolgimento della prestazione imposta dal datore di lavoro .
In conclusione anche se la formazione si svolge in un ambito diverso da quello abituale, essa rientra nell’orario di lavoro e come tale andrà retribuita.
Qui il testo integrale della sentenza della Corte di Giustizia Europea.
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