Il problema delle diverse aliquote IVA, nel settore della ristorazione, per il differenziato caso del consumo in loco o della somministrazione, è finito in primo piano sulle cronache fiscali nel 2020, quando, a causa delle misure di contenimento pandemico, i servizi di asporto e di consegna a domicilio sono divenuti, per i ristoratori, il principale canale di vendita.
La questione, interessando la normativa IVA, che è armonizzata, non interessa solo l’Italia ma tutta l’Unione Europea, in quanto il legislatore europeo permette, per le due situazioni, aliquote in entrambi in casi ridotte ma che posso essere anche diverse.
Sul punto si è espressa il 22 aprile 2021 la Corte di Giustizia UE con la sentenza C-703/19, che individua i criteri in base ai quali effettuare le dovute distinzioni tra servizi di ristorazione e cessione di alimenti e bevande.
Il punto è che la somministrazione è un servizio di ristorazione complesso che unisce elementi del fare e del dare:
Per costituire somministrazione non è sufficiente il consumo in loco del piatto pronto, anche se è necessario, e non è sufficiente fornire strutture fisiche per il consumo, possibilmente in esterno; ma, in base alla sentenza, dovrà essere fornito un servizio nel senso estensivo del termine, che si può concretizzare nella presenza di strutture fisse dedicate (per il consumo dei pasti, ma non solo, quali le toelette), di personale addetto ai clienti, di un servizio di ordinazione, della fornitura di stoviglie e altro; ognuno di questi elementi da soli non saranno sufficienti a qualificare la somministrazione, ma tutti insieme costruiranno la complessità richiesta al servizio.
Per contro, quando la componente dal dare prevarrà su quella del fare, come nel caso dell’asporto o della consegna a domicilio, non si concretizzerà la somministrazione ma la fattispecie costituirà cessione di beni alimentari, possibilmente sottoposta a differenziata aliquota IVA.
Sul tema si chiarisce un punto importante: che, anche quando il ristoratore sia effettivamente strutturato di espletare un’attività di somministrazione (come è il caso di un ristorante che effettui contemporaneamente servizio al tavolo e asporto), nel momento in cui il cliente deciderà di non consumare in loco, limitandosi ad acquistare il piatto pronto, come nel caso appunto dell’asporto, la fattispecie non potrà essere qualificata come somministrazione, anche se il servizio complesso era stato messo a disposizione del cliente e sarà stato lui a scegliere di non usufruirne; in questi casi si dovrà qualificare l’operazione come cessione di beni alimentari. Motivo per cui, il ristoratore dovrebbe differenziare il trattamento IVA a seconda delle modalità di consumo.
In Italia, la normativa e l’interpretazione di prassi appaiono, oggi, allineate all’indirizzo fornito dalla Corte di Giustizia UE.
In astratto potrebbe costituire una sensibilità potenziale, per i ristoratori, la necessità di effettuare una differente trattamento IVA, quale somministrazione o cessione di beni alimentari, nei differenti casi in cui il cliente decida di usufruire del consumo in loco o dell’asporto, ma, nella pratica, oggi, la discriminazione è superata dal fatto che, con la Legge di bilancio 2021, con norma di interpretazione autentica con valore retroattivo, le due prima differenziate aliquote sono state allineate al 10%.
Come si è detto, nel corso del 2020, prima dell’allineamento delle aliquote, molto si è discusso della problematica in Italia; sulle pagine digitali di questa testata giornalistica sono stati pubblicati gli articoli:
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