La questione è di quelle pacifiche, l’aliquota IVA da applicare alla somministrazione, all’asporto e alla consegna a domicilio, ma è anche di quelle spinose perché colpisce, in modo punitivo, un intero settore economico già in grave difficoltà a causa delle misure restrittive con finalità di tutela sanitaria, messe in campo dall’esecutivo: la ristorazione.
Il 15 novembre scorso, su questa testata giornalistica, abbiamo pubblicato l’articolo “Ristorazione: per asporto e domicilio esclusa l’aliquota IVA della somministrazione”: si espone come, in base alla normativa IVA in tema di somministrazione, i ristoratori, obbligati a esercitare la propria attività solo tramite i limitanti strumenti dell’asporto e della consegna a domicilio, sono gravati anche del peso di dover assoggettare le vendite alle ordinarie aliquote IVA previste per i singoli prodotti alimentari, senza poter usufruire dell’aliquota unificata del 10% prevista per la somministrazione.
Non sono mancate reazioni di incredulità per un sistema normativo che non tiene conto di una situazione straordinaria, come quella attuale, e che risulta ingiustamente gravosa per un intero settore già sacrificato all’interesse generale.
Tre giorni dopo, il 18 novembre, prende corpo una interrogazione parlamentare in Commissione finanze presso la Camera dei deputati, a cura dell’On. L. Tarantino, in cui si chiede “se, non si ritenga opportuno allineare l'aliquota da asporto a quella da tavolo così da evitare ulteriori aggravi a carico dei consumatori”.
Risponde, per l’esecutivo, il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze l’On. A. M. Villarosa, il quale, in via preliminare conferma che “la somministrazione presuppone la consumazione in loco degli alimenti (salvo il caso del catering), mentre le vendite da asporto sono, a tutti gli effetti, cessioni di beni, con la conseguenza che scontano l'aliquota applicabile in dipendenza della singola tipologia di bene alimentare venduto”, come prescritto dall’articolo 6 del Regolamento di esecuzione n.282/2011 del Consiglio dell'Unione Europea.
Ma precisa che “tenuto conto che la riduzione dei coperti per il rispetto degli stringenti vincoli igienico-sanitari per la somministrazione in loco degli alimenti, la vendita da asporto e la consegna a domicilio rappresentano modalità integrative mediante le quali i titolari dei suddetti esercizi possono svolgere la loro attività, anche se dotati di locali, strutture, personale e competenze astrattamente caratterizzanti lo svolgimento dell'attività di somministrazione, abitualmente svolta dagli stessi”, e che, di conseguenza, “entrambe le ipotesi possono rientrare nell'applicazione delle aliquote ridotte ai sensi del punto 12-bis o ai sensi del punto 1 dell'allegato III della direttiva IVA che elenca beni e servizi ai quali è possibile applicare l'aliquota ridotta in conformità dell'articolo 98 della direttiva IVA”.
Riassumendo, oggi la normativa prescrive una aliquota IVA per la somministrazione che non può essere applicata all’asporto e alla consegna a domicilio, si comprende che queste, nel contesto attuale, rappresentano delle modalità “integrative” di svolgimento dell’attività di somministrazione (che i ristoratori sono impossibilitati a esplicare), e alla luce di ciò, secondo l’esecutivo, anche l’asporto e il domicilio “possono” godere di una aliquota ridotta.
Però l’utilizzo dell’espressione “possono” indica una potenzialità e non un fatto, il fatto è che oggi la norma e la prassi prescrivono delle aliquote differenziate per somministrazione e asporto (compreso il domicilio), motivo per cui sarà necessario attendere indicazioni ufficiali da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze, in forma scritta, per poter considerare i ristoratori al sicuro da eventuali future contestazioni.
Per un approfondimento sul tema si veda l’articolo:
Ristorazione: per asporto e domicilio esclusa l’aliquota IVA della somministrazione